27/12/09

Holden Caulfield mi ha spezzato il cuore

di Cristina Taliento

"Ciao. Posso sedermi?"
"Non è mica mia questa sedia, nè questo fottuto bar e compagnia bella"
"Ok... "
"Voglio solo bere il mio winsky, se non è chiedere troppo"
"No, non lo è..."
"Grande"
"Ti sei offesa?"
"Offesa? Ma se non ti conosco nemmeno! Chi cavolo credi che sia, una di quelle femminucce come quella Sally vattelapesca del College? Voi americani, siete gente strana... voi volete bere solo il vostro winsky, sempre che non sia chiedere troppo!"
"Caspita... e allora chi diavolo sei?"
"Io dico cavolo non diavolo...."
"e allora chi CAVOLO sei? Da dove CAVOLO vieni?"
"Mi chiamo Cristina e vengo da un posto così e così. E vivo nel 2009, che per giunta sta per finire."
"Wow... si direbbe una di quelle presentazioni per i Concorsi di Bellezza. Votatemi! Ma... hai detto 2009?"
"Chiamami tra una settimana e sarà 2010"
"Mi hai rotto le scatole, siamo nel 1954 e ripeto... mi hai rotto le scatole"
"Tutti non fate a altro che ripetere che vi ho rotto quelle fottute scatole, da mia madre a mia sorella, dai miei amici alle galline di mia nonna."
"Mi sembra logico... sei una rompi palle esagerata, ma se diresti meno bugie..."
"Se dicessi... si dice se dicessi. Lo sai che ti dico? Me le avete rotte anche a me! 1954? Ma quanti gradi conta quel winsky?"
"Abbastanza, principessa"
"Ti ho detto che non sono una delle tue femminucce, Caulfield!"
"Caulfield? Come conosci il mio cognome?"
"Lo so e basta, se te lo dicessi ti ferirei... sei così orgoglioso!"
"Tu sei di gran lunga peggio di quelle che chiami le mie femminucce! Sei una bambinetta da niente che crede di parlare da grande e, invece, quanti anni hai...?"
"Sedici"
"E allora sta' al tuo posto"
"Grazie, ci sto bene al mio posto. E poi tu hai solo qualche anno più di me."
"Un altro bicchere, prego. Ma che ore sono.? Al diavolo... torno quando voglio."
"Quando leggevo le tue avventure mi sembravi più di un ubriacone. Si direbbe che mi stai deludendo"
"Oh... che colpo al cuore! Mi hai ferito a morte."
"Risposta esatta, avresti risposto così. Rimani il mio idolo."
"No, se fossi stata più carina avrei risposto con qualcosa come: deludere te mi fa perdere la voglia di vivere"
"Sei bravo con le parole, complimenti"
"Ma che musica è questa? Mai uno che sappia suonare il pianoforte decentemente... SUONA SINATRA!"
"Nel mio mondo le cose, soprattutto in TV, fanno schifo"
"Sei ancora qui? Uffa... Senti, perchè non te ne vai, Clarissa?"
"Cristina"
"Non mi importa come ti chiami"
"A me piacerebbe che il mio idolo sapesse come mi chiamo."
"Sono un idolo sbagliato. Te ne devi andare, questo non è posto per te!"
"Cosa ne sai tu? Cosa ne sapete tutti? Io voglio parlare con te perchè a volte tutto mi fa schifo e in alcuni periodi c'eri solo tu, o il tuo libro, a dirmi che non ero l'unica ad odiare il proprio mondo..."
"Non ti asciugherò le lacrime, non farmele nemmeno vedere"
"... perchè tu mi hai insegnato che non bisogna vergognarsi di non seguire la folla, mi hai insegnato a correre sotto la pioggia e a mandare affanculo la gente. E non credere che mi freghi del tuo comportamento adesso, tu rimarrai l'idolo della mia adolescenza. Io sono come te."
"Tu non sei come me, non lo sarai mai!"
"Si, io sono come te! Nessuno è più simile a me! Io sento il tuo respiro!"
"Ma io sono il personaggio di un fottuto libro, maledizione!"
"Io ti sento, Holden, sei il mio idolo"
"Tu non sai cosa vuoi, io adesso sparirò e non sarò che carta"
"Rimani con me, te ne prego! Parlami di ciò che ti piace! Anche se lo so già!"
"Devo andare, TAXI !"
"Non svanire, io...mi sono innamorata di te!"
"Ti sei innamorata di un libro! "
"Se te ne andrai io..."
"Te la caverai, ci sarà il mio libro a tenerti compagnia"
Il Taxi scomparve dietro l'incrocio e rimasi io sotto la pioggia, come in uno di quegli stupidi film strappalacrime.

19/12/09

La Fanciulla dei Pianeti

di Cristina Taliento

C'era una volta, in un paese molto lontano da tutto quello che per noi è vicino e scontato, una fanciulla di nobili origini. La sua casa era situata ai margini del bosco dove lei, fin dalla fanciullezza, amava passare le proprie giornate a contemplare le bellezze della natura. Un giorno, siccome le svolte, belle e sgradevoli, accadono in un preciso giorno della nostra vita, mentre la fanciulla si era attardata a leggere sulla riva di un ruscello, arrivò un giovane. Era vestito elegantemente, ma non aveva le scarpe. Quando la fanciulla lo vide pensò che egli fosse l'essere più strano che avesse mai visto, ma, nello stesso tempo, notò che la sua bellezza era superiore a quella di qualunque altra creatura terrestre. Pensò di essersi persa in un sogno, ma gli schizzi d'acqua gelida che le strisciavano il volto la riportavano alla realtà della sua situazione. Si chiese chi fosse, cosa ci facesse in giro per i boschi e, soprattutto, il perché non avesse le scarpe. Ma queste domande morirono nella sua gola non appena vide che egli si avvicinava. La fanciulla non fece in tempo di tirarsi indietro o ribellarsi che il giovane la baciò e da quel momento in poi nulla per lei fu come prima. Nell'istante del bacio le sue mani diventarono sabbia, i suoi capelli si sgretolarono al vento e della sua presenza non rimase che il suo vestito svuotato. Il giovane si guardò intorno e gridò nell'aria queste parole: "Ritroverai la tua forma cinque giorni dopo la luna nuova, poi ritornerai alla polvere. Solo con l'allineamento dei pianeti ritornerai definitivamente ciò che eri." La fanciulla voleva rispondere, lamentarsi, gridare, ma quello che produsse fu solo una folata di vento ghiacciato.
Arrivò il giorno di luna nuova e cinque giorni dopo, vicino al ruscello, la fanciulla riprese sembianze umane. Capì di avere poco tempo per chiedere aiuto, ma non sapendo a chi rivolgersi, decise di cercare il giovane dei boschi. Corse a perdifiato nella notte finché intravide da lontano il bianco cappello. Bussò alle sue spalle e implorò di liberarla dalla maledizione. Lui rispose che per accorciare i tempi dall'allineamento dei pianeti avrebbe dovuto sottoporsi ad una prova: ghiacciare il laghetto e pattinarci sopra. La fanciulla giudicò impossibile una prova simile eppure capì che non c'era tempo da perdere, così chiamò a sé i venti del Nord. Quelli risposero subito porgendo il loro aiuto. La fanciulla, dunque, chiese loro di ghiacciare il lago e loro si misero a vorticare sull'acqua fino a quando non fu ghiaccio. Ma anche così rischiava di fallire: non aveva i pattini e in un bosco è molto difficile trovare dei pattini da ghiaccio. Il tempo stava per scadere e la sua disperazione aumentava. Ma mentre era ferma, nel suo corpo umano, meditò un istante e cercò di considerare quella vicenda come un'opportunità offertale per caso.
"Sono l'aurora e il tramonto- si disse- sono la primavera e l'autunno, scirocco e tramontana. Sono nel muschio degli alberi e nel candore delle stelle; il profumo delle rose scorre nella mia essenza. Sono acqua, aria, terra e fuoco. Scorro tra le trame della seta, nelle acque calme di un ruscello, nella cavità di un violino. Mi nutro della luce, della freschezza della neve. Sono il nutrimento degli animali, la loro dimora. Sono radici, petali, semi e foglie. Il mio respiro è nella natura e tale voglio che rimanga."
La fanciulla rifiutò la prova perché nelle fiabe, anche se raramente, accade che le svolte sono fin troppo durature, che chi le ha causate, alla fine, non ha poi un ruolo così importante e che forse, anche se sembrano inaspettate, siamo pronte ad accoglierle sempre e comunque.

06/12/09

Racconto di Natale - Capitolo Primo


di Cristina Taliento


"Oh Oh! Guarda papà! Guarda papà!Cane! Ha morso il foglio del suo padrone e l'ha dato alla vecchina dei piccioni! "

"Il foglio? Ma... che stai dicendo?"

"Il foglio, papà! L'ha dato alla vecchina dei piccioni, guarda!"

"Ah, vuoi dire che il cane ha addentato il portafoglio del padrone e l'ha dato alla signora che dà da mangiare dei piccioni. Il cane ha addentato il portafoglio del padrone e l'ha dato alla signora che da da mangiare ai piccioni? Eccolo! Hai ragione, fantastico! Dobbiamo raccontarlo a nonna. Andiamo!"

"Il cane dentato...pottafoio e l'ha dato alla vecchia che... dà i piccioni!"
"Ma perchè continui a ripeterlo e perchè corri?"
"Papà tu non capisci mai niente! Io non devo mi dimenticare! Il cane ad...dentato il pottafoi e dato vecchia picciona. Cane dentato pottafoio ...dato vecchia..."
"Ehi, Gianni, ma dove corri come un diavolo? Vieni dalla tua nonnina"

"Io vitto un cane dentato...pottafoio e dato vecchina picciona! Bravo cane!"
"Traduci"

"Ha visto un cane togliere il portafoglio del padrone e darlo alla povera signora che dà da mangiare ai piccioni!"

"L'ho sempre detto io che questobel furbetto ha l'occhio da osservatore! Dammi un bacio! Ehi, Anna! Stanno suonando alla porta, vedi chi è!"

"Buonasera, signora"

"Buonasera Paolo!"

"Come va? Son venuto per chiederle un po' di sale, miseriaccia! Mia moglie è capace di esaurire una salina per quanto cucina salato, pazza di una donna! Ehm... novità?"

"Stavo per dire niente di nuovo, ma non oggi! Lo sa cos'ha visto mio nipote?"

"No! Non leggo mica nel pensiero, perbacco!"

"Un intelligente cane ha sfilato il portafoglio dalla tasca del padrone, ha corso per una ventina di metri con quel coso in bocca e indovina tu a chi l'ha dato? Lo so che non lo sa, buon Dio! Adesso le lo dico, aspetti! L'ha dato alla povera vecchina dei piccioni!"

"Per tutte le saline della zona! Mi sarei dovuto spasare con un cane. Bestia!."

"E non è tutto, proprio no! Quando il padrone, arrivato a fiato corto davanti alla vecchina, non si è sentito di riprendersi i soldi e compagnia bella. Anzi, dopo aver tolto i documenti, le ha dato ogni singola banconota."

"Ha fatto bene! Quella povera donna è sul marciapiede da vent'anni!".

"Ecco il sale... se ne va già?"

"Eh bè, direi! Grazie. Buonanotte!"

"Di niente!"

" Diavolo di una vicina, se ne va già? No, guardi... resto perchè è bella! Tutti matti sono questi! Ma la storia che mi ha raccontato... devo dirla a mia figlia 'la grande..."

"Sei tornato! Ce l'aveva il sale?"
"Tieni, che domande scontate... Dov'è Beatrice? BEA! Scendi, devo dirti una cosa!"

"Aspetta!"

"Io quand'ero giovane altro che aspetta e aspetta! Rispetto per i genitori!"

"Che c'è papà? Avanti, spara"
"Spara a me? Cammina, figlia ingrata! La fretta dimostrala ai tuoi pari!"

"Lo sai che lavorare per il giornalino scolastico nel periodo natalizio è una corsa contro il tempo, papà... poi sono a corto di idee e se domani non ho l'articolo posso anche dire addio alla mia rubrica ."

"Ringrazia Dio che hai un padre come me! Ti ho trovato una storia niente male!"

"Hai dato un' occhiata al cassonetto? "

"Ecco cosa impari a scuola, a rispondere a tono!... comunque, il nipote della vicina ha visto un cane sfilare il portafoglio dal taschino del padrone e consegnarlo ad una povera barbona che sfama i piccioni notte e giorno... Insomma, poi il padrone ha rincorso il cane, ma alla fine ha deciso di lasciare i soldi, tutti quanti, alla vecchia... Forse è il Natale, ma per t-u-a madre non basta nemmeno quello per cambiare!"

"Interessante, davvero... Grazie papà!"

"Ehi, che fai, mi baci? Oh, è il Natale! Lo dico sempre io, è il Natale!"

"CANE CARITATEVOLE ONORA IL NATALE"

"Quel che avevo in mente, appunto"

"Bhe...come direttore... del giornale... posso dire...Ottimo lavoro, Colasanti! Davvero ot-ti-mo"
"Gr..az...e, professore"

"Vedrai che alla gente piacerà! Saranno guai d'oro per la vecchina, il cane e il padrone! Guai d'oro!".







22/11/09

Sixteen

di Cristina Taliento

Domani è il mio 16° compleanno.
Tic tac tic tac tic tac.
Sentilo
il tempo che passa
Pendolo, di panna la torta
"sa dire papà"
Peter Pan, pardon? pa pa pa

Ieri era il mio 5° compleanno
Sorridi
auguri, che tu abbia fortuna
Spegni la luce, soffia
eccola, ne manca una
"ho riempito una mano, nonno"
solo l'altro giorno
ti voglio bene nonno...

Non essere codarda
la vita è una corda
Saltala
Appieda, poi ricorda.

Avrò paura, timore
del clamore
nello scorrere delle ore
Avrò sete, Lete
Goethe, attese
arrivi, partenze
turni regalati e penitenze

Non essere codarda
la vita è una corda
Op Op Op
Opera, Obama, ama
acclama, anima
immagina, sollecita la
fantasia come sai fare
mare, cadere.
Anche
cadi, rialzati
sospira, riprendi
la forza che hai

Sono 16 non più otto
spezza il biscotto
credici al messaggio
o ridici su
Salta la corda
Ballaci su

La bambina della foto
sopra la torta con il 3
sembra aver capito
della vita il suo saltare
con quell'occhio
saggio e rassicurante

Quella sei tu
fidati di lei,
non è un'altra
è dentro di te
salta la corda
ballaci su

18/11/09

Ahahahaahahaha

di Cristina Taliento

Ho letto che ridere fa bene; ho letto che con la risata i battiti aumentano e l'organismo (nome molto generico, lo ammetto) rilascia delle non-mi-chiedete-cosa, che, a quanto pare, hanno buoni effetti sull'... organismo (appunto). Leggo molto, io... e cosa importante, credo alle cose scritte come se il fatto che siano state scritte mi assicurasse almeno una conoscenza della scrittura da parte di chi abbia deciso di metterle su carta (chi mi assicura, invece, che i geni della televisione sappiano scrivere in italiano decente?).
Allora, dopo aver girato la testa indifferente per controllare se ci fosse qualcuno, e accertata la mia condizione di solitudine, ho distolto lo sguardo dalla rivista, guardando nel vuoto e ho iniziato a ridere, ma di una risata falsa come nei film di quelle bambine di colleggi con un'infanzia schifa alle spalle che, avendo dimenticato come si ride, emettevano strani suoni gutturali.
Non so per quanto tempo avrei continuato con quella preoccupante dimostrazione di rimbecillimento post traumatico, perchè è entarato qualcuno e mi sono salite le vere risate, ma di quelle brutte! Sono scappata via ridendo in un misto di auto-commiserazione. Mi sono fatta paura...ma al diavolo! Ridiamoci su!

09/11/09

Si, per l'eternità... ma non un secondo di più

di Cristina Taliento

In classe, dal mio banco, si riesce a vedere fuori dalla finestra e io, nei momenti in cui mi accorgo del lento passare del tempo, lancio lo sguardo aldilà della strada dove c'è un muro vecchio e scalcinato. Aspetto che le auto scorrano, lasciando ben visibile la scritta rossa che contrasta la natura così visibilmente precaria del muro: "il nostro amore è per sempre". Chi l'ha scritta forse aveve le idee più chiare delle mie sul vero significato di "per sempre" e magari, se lo conoscessi, ne approfitterei per chiedere informazioni, ma non è così e come al solito... devo arrangiarmi da sola.
Dunque, apriamo sul tavolo il materiale a disposizione fino ad ora raccolto, lente d'ingrandmento nella mano destra e speriamo, anche questa volta, di trarre delle conclusioni soddisfacenti.
Lo slogan del Trilogy: "un diamante è per sempre"; pagine di diario scarabocchiate di "X SMP"; il giovane Peter Pan? Per sempre, ovvio. Quel "vissero felici e contenti" è così indeterminato e infinito che sembrerebbe sia quasi...per sempre; l'Universo è per sempre; un sorriso è per sempre; la gloria è, dopo l'ultimo agonizzante minuto della fine, per sempre.
"Per sempre" , quindi, ha l'aria di essere una cosa bella, qualcosa che non muore, qualcosa che resta nonostante tutto, ma allora perchè, a me, sembra una ghigliottina, un pezzo di scotch da imballaggio che preme sulle labbra o un grosso signore baffuto che mi autorizza ad entrare in un posto (s)conosciuto già a memoria? "Per sempre", in effetti, è un posto arioso, ma, allora, da dove viene tutto questa claustrofobia, questo desiderio di sbattere contro le pareti di vetro, gridando: "Fatemi uscire! Per favore, aiuto, fatemi uscire!!"?. Siamo stati abituati all'idea, tutti quanti, che ogni cosa ha un inizio ed una fine, non per niente siamo a conoscenza che: i cuori si fermano, i pianeti smettono di girare, i muri crollano, i sentimenti si dimenticano, i fiori appassiscono, le stelle si spengono, i cellulari si rompono, i rifiuti si degradano, le pagine si sgretolano, i diamanti... beh... sinceramente non lo so che fine faranno i diamanti! In un mondo dove tutto ha già un destino prescritto la parola "per sempre" dovrebbe essere un alito di magia, una specie di pompiere che, dall'alto, ti getta una corda e ti grida: "Su, aggrappati!". Ma, ci deve essere anche una forza contrastante, opposta all'immortalità, che mi impedirà di afferrare la corda. La vita, la realtà, non è la Saga di Twilight, dove i protagonisti camminano per mano verso l'eternità e, che ci piaccia o no, niente è eterno all'infuori dell'Eterno stesso. Anche i sentimenti di amore e amicizia, che ci ostiniamo a dichiare "per sempre" si spegneranno con noi, ma questo non è una catastrofe, nè ci deve fare stizzire: sapere che c'è una fine rende più sensazionale l'intera durata di un qualcosa.

Mentre distolgo lo sguardo dalla finestra penso ad una frase del film Saturno Contro (F. Ozpeteck-Ita, 2006) ," Ci sono momenti come questo in cui riesco a sentirmi felice. Voglio che rimanga tutto così per sempre. Anche se so che per sempre non esiste ".

31/10/09

Sangue su sangue non macchia

Dedicato a: chi non si arrende, al mio fedele amico Holden Caulfild, a tutti i ragazzi che lottano nel nome di un ideale, al '68, al Canada, alla musica, ai fuochi d'artificio, al cielo d 'inizio Novembre, ai racconti di Lewis Carrol ed alle fiabe dei Grimm. Dedicato al 23/11/93, ai temporali, alle bandiere arcobaleno, ai Medici Senza Frontiere, ai murales, al mio apparecchio per i denti, ai fiori di campo. A tutte le torte, alla Domenica, a chi converte le lacrime in sudore, allo smalto blu elettrico, a chi spera, alla voce della radio unico conforto dopo una sconfitta, al "Ballo dei Flamenchi", ai jeans sformati, a Te, a Francesco de Gregori, grazie al quale posso dedicare a tutti voi questo:
E adesso puoi sentirne il respiro sul collo, puoi sentirne l'odore puoi scoprirne gli accordi, il ritmo e la melodia e se appoggi l'orecchio sul muro puoi distinguerne le parole e dietro alla festa smascherare il dolore Sangue su sangue precipita senza rumore Sangue su sangue precipita senza rumore E tutto ho veduto e tutto ho saputo e tutto ricordo tutti i colori di questa gigantografia e come la tua mano tremava quando teneva la mia e ogni parola sul mondo diventava bugia Sangue su sangue non macchia, va subito via Sangue su sangue non macchia, va subito via E tutto è creduto e tutto è dovuto e tutto è rimpianto in questa notte che si sta avvicinando ogni giorno di più E non ti comunica per niente il programma che stanno dando ma che strano, nessuno lo può più cambiare col telecomando E sangue su sangue e sangue su sangue soltanto E sangue su sangue e sangue su sangue soltanto Stai dormendo oppure fai finta anche tu? Stai sognando? O stai pensando anche tu? Che siamo chiusi in una scatola nera nessuno ci aprirà Chiusi in una scatola nera nessuno ci libererà Chiusi in una scatola nera che nessuno mai ritroverà E adesso puoi trovarmi con la faccia pulita in una campo di grano Oppure sepolto vivo in una galleria O sperduto tra topi e piccioni Sulle rive di un mondo lontano O seduto a guardare la pioggia sullorlo di questo vulcano Sangue su sangue leggero precipita piano Sangue su sangue leggero precipita piano Sangue su sangue leggero precipita piano.
(Sangue su Sangue, Francesco de Gregori)

10/10/09

Termine della corsa: stazione di Lecce


di Cristina Taliento
Un deciso "Biglietti, prego!" rompe l'armonia di un sogno consapevole che timidamente si era costruito nella mia testa. Assonnata mostro l'abbonamento all'impaziente controllore, che riprende il suo monotono tragitto fatto di soste e meccaniche vidimazioni, ma, mentre si allontana, noto qualcosa di molto sorprendente, qualcosa che oscilla sotto la giacca blu di Ferrovie dello Stato. Strofino i pugni sugli occhi, incredula, ma non mi sto sbagliando, ci vedo bene! Quella è una coda, ne sono certa! In un attimo scompargono tutte le tracce di un precedente sonnellino, metto lo zaino in spalla e corro dietro al controllore, che adesso è terribilmente lontano. Lo raggiungo e, affiatata, busso alla sua schiena.

"Scusi signore, ma non mi sembra per niente giusto che lei se ne vada girando con la coda penzoloni. Io posso tollerare il formaggio e i libri di Federico Moccia, ma, per carità, non questo!" dico cercando di rimanere su toni ragionevoli.

"Oh Cielo!" esclama il controllore, poi mi volta le spalle e si rivolge ad una pendolare: "Giù le scarpe dal sedile, signorina! Questo treno non è casa sua!"

Sentendo quel rimprovero mi indigno ancora di più. "Ah! Complimenti davvero, è bravo lei ad impartire ordini! Allora, perchè non si concentra a far sparire la sua coda? Non me ne andrò di qui finchè quel coso non sarà scomparso." incrocio le braccia sul petto e innalzo il sopracciglio destro.

"Ma mi faccia il piacere!- gridò il controllore- Ecco! Sei contenta? Mi hai fatto arrabbiare! Dov'è la mia carota? Ho sempre bisogno della mia carota quando qualcuno mi offende" fruga nelle tasche della giacca e ne tira fuori il piccolo ortaggio arancione. Si mette a sgranocchiarlo rumorosamente mentre io lo guardo, immobile nella mia ira.

"Fiuuuuuuuuuuuu" il fischio del treno annuncia l'arrivo in stazione

"Termine della corsa Lecce, stazione di Lecce" si sente dall'altoparlante.

"L'ho lasciata vincere, è stato fortunato che il mio giro è terminato" esclamo furiosa.

"Si, va bene... ci vediamo" borbotta stanco il controllore.

Quando scendo le scale del sottopassaggio, in un cartellone pubblicitario è lì che mi guarda, Bugs Bunny, se la ride su un fianco con una carota all'angolo della bocca.

THAT'S ALL FOLKS!!




16/09/09

L'australiano

di Cristina Taliento

Questa è una di quelle storie che la gente chiama "senza capo nè coda" e non vi posso nemmeno assicurare che abbia un corpo, ma il suo pezzo forte è quello di essere vera.


C'era un australiano che sulle prime sembrava un pazzo, ma bastava fissarlo un attimo per capire che era un pazzo pezzo autentico, un opera d'autore. Solo due cose sul suo conto potevi dare per scontate; la prima era che aveva sorpassato i 50 e la seconda... beh, la seconda era che amava lo sballo alla follia e tu potevi essere uno di quelli che se ne stanno seduti mormorando di essere astemi e contro l'alcool o uno di quelli altri che invece dicono di sapersi divertire senza bere nè assumere altro, potevi essere di qualunque idea e morale, ma caspita, non potevi non ammettere che quell'uomo sapesse il fatto suo e che, guardandolo, forse l'avresti invidiato anche tu. Come dicevo, non era italiano, molti dicevano che fosse australiano; riguardo alla sua nazionalità non saprei dirvi con precisione di dove fosse e, vi giuro, che mi sarebbe importato saperlo, pensate che lo chiesi anche al barman, un deficiente patentato con cravatta e cappellino che mi rispose :" deve essere australiano o giù di lì..." e chiesi ancora: "che cavolo vuol dire 'giù di lì '?", mi guardò come stesse pensando che fossi proprio scema e mi rispose con un tono che faceva tanto: perchè non ti togli di mezzo bambina? Comunque mi disse che "al suo paese" con quell'espressione intendeva un "australiano, inglese, americano... quella razza lì" . Il mio cervello perplesso si ricordò di ringraziare e ritornai a focalizzarmi su quel soggetto interessante su cui magari avrei potuto scriverci una storia, anche se, mi dicevo tra me e me "sarebbe una di quelle storie che la gente chiama senza capo nè coda e al mondo d'oggi tutti vogliono sentirsi raccontare storie che abbiano del pratico, un'inizio e una fine".


Quando ballava ti dava l'impressione che in pista ci fosse solo lui, solo lui e nessun altro. Non era un bravo ballerino, ma chi lo sapeva cosa fosse stato realmente... Magari era proprio un ballerino, uno di quelli che sono nel fiore della carriera, poi succede che si rompono un tendine e non possono più ballare, così pensano che la loro vita sia rovinata, tutti i sogni infranti eccetera eccetera e se ne vanno ad ubriacarsi per il resto della loro vita in un bar, poi quando sono proprio ubriachi fradici o, addirittura, annegati nell'alcool, si mettono a ballare scompostamente, ridicolamente e buffamente, ma si vede che ce l'hanno nel sangue la musica, il movimento, la danza. E poteva darsi che in passato non aveva mai avuto a che fare con teatro, sale prove, scaldamuscoli e calzamaglia, ma nel sangue aveva l'Arte. Avrei potuto scommetterci la la mano destra se avessi trovato qualcuno disposto a pensarla al contario, ma ovvio, non lo avrei trovato.

In giro (le persone che componevano il cerchio di gente in cui lui ballava al centro) si mormorava che avesse bevuto 14 mojito tutti di seguito senza ghiaccio nè niente, li aveva buttati giù di seguito sotto lo sguardo agghiacciato del barista e quando aveva, finalmente, finito di scolarsi l'ultimo bicchere si era rivolto a questo con un sorriso lucido e aveva esclamato: "the bill, please!" . Il barman aveva smanettato un po' sulla cassa e, strappato lo scontrino, glielo aveva consegnato. Lui aveva pagato come avrebbe fatto un normale avvocato di Milano dopo aver bevuto l'aperitivo analcolico delle 10. Storie che se decidi di raccontarle in un blog rischi di passare per pazza, ma adesso sto davvero sopravvalutando questa che, in fondo, non può chiamarsi nè storia nè niente.

Eppure, amici, nella mia breve vita, sono 16 a Novembre, ho capito che le storie vere stile cinema mozzafiato sono poche poche, meno delle cicale in inverno. La normalità è fatta di pezzi di pellicola spezzata che sembrano non avere mai un senso, pagine rimaste accartocciate tra il marciapiede e l'asfalto che volano via al passare sfuggente delle auto. Il bello sta nel fatto che le emozioni vengono scatenate anche quando non ci troviamo di fronte a grandi finali o colpi di scena e quando non ce l'aspettiamo la nostra pelle diventa come quella di un'oca. La normalità, a volte, ci lascia seduti a guardare spiazzati un punto fisso perchè ci svela in una scena la storia di una vita, solo che dobbiamo essere noi a fermarci, prendere la pagina accartocciata, spiegarla con le mani e... leggerla.




06/09/09

Senti quello che ti sto per chiedere

di Cristina Taliento



SE c'era una cosa che aiutava a capire la piccola-vecchia-mocciosa me di una decina d'anni fa quando stava per finire l'estate quella era indubbiamente il "gioco dei se" e tutta l'atmosfera che si veniva a creare quando, passate le ferie dei genitori, passati i caldi e roba varia, non rimaneva altro che sedersi attorno un tavolo con un soddisfacente numero di cugini e fratelli minori, incrociare le braccia sulla tovaglia e domandare al piccolo pubblico con una certa aria di affermazione: "Chi gioca al gioco dei se...?". C'era sempre qualcuno che proponeva un'idea apparentemente migliore per scappare da quel gioco che secondo alcuni importanti pareri infantili era tutto tranne che divertente, ma finiva sempre che nessuno si alzava dal tavolo e io, con un misterioso sopracciglio alzato, mi sporgevo in avanti come per confidare un segreto e iniziavo a bassa voce:



"Cosa fareste se all'improvviso, così, senza dir niente ad anima viva, arrivasse a bussare alle vostre case nientepocodimeno di... "



"di...?"; "dai, diccelo"; "uffa, chi?!"



"Alice nel Paese delle Meraviglie!" esclamavo sfoderando il mio mezzo sorriso, a quel tempo, buffamente incompleto.



"Io di sicuro le sbatterei la porta in faccia a quella"; "Perchè? Meglio darla in pasto a Nerone"; "Ma Nerone è un gatto, non mangia cartoni animati, cretino"; "Come te, gallina, comunque si potrebbe rinchiuderla nel ripostiglio della nonna, così fra tutte quelle schifezze si sentirebbe a casa!".



Non ho mai capito perchè Alice Meraviglie la mandavamo sempre a quel Paese (giuro che questa mi è venuta ora), forse perchè aveva quell'aria da perenne svampita dei miei stivali. E così questa specie di gioco andava per le lunghe, cioè fino alle 4 quando iniziava Bim Bum Bam e se non ti alzavi correndo poteva essere per due motivi: a) stavi male; b) stavi male.


Adesso la scenetta che ho descritto si interrompe, lo schermo si fa nero e compare la scritta TEN YEARS LATER, poi si riaccendono le luci e ci sono sempre io (ma va?) con i denti permanenti, ma coperti da un'incommentabile ferraglia grigio cemento e con i capelli di diverse gradazioni più scuri. Ah, gli occhiali... si, ho anche gli occhiali. Bene, può bastare per farvi capire che qualche annetto è passato, il cervello è migliorato, non faccio più giochi di bambini, non guardo più i cartoni animati come i bambini e a differenza loro, io: non credo nelle fate, non faccio i dispetti, non mangio caramelle, non dormo con il peluche, non frigno, non mastico Big Bubble con la bocca aperta, non faccio i codini, non parlo senza pensare, non saluto le macchine della corsia opposta e tutto quel che segue. Mai il mondo partorì una più grossa bugiarda... si, lo ammetto, la metà delle cose elencate, anzi più della metà sono false, ma non aspettate che vi dica quali; quella falsa per eccellenza è la 3°: i giochi per bambini sono uno sport che continuo a praticare anche se è dura vedersi battere a campana da un bambino nato quando tu sapevi già leggere. Ma non è questo il punto, il punto l'ho perso circa 13 righe indietro ed è lì che l'avrei dovuto riprendere e non l'ho fatto e se non la smetto di scrivere come penso non lo farò nemmeno ora. Il punto, dicevo, è che "ten years later" il mitico, spaventoso e temuto "gioco dei se..." continua ad entrare e uscire dalla mia testa, soprattutto adesso che l'estate sta finendo. Vuot, Cris, vuot?? Vuot if? Si, insomma... What sarebbe accaduto if mi fossi comportata non così ma colì?

Sembro Pinocchio che dopo esser diventato asino e compagnia bella, si ferma e prova ad immaginare dove sarebbe stato in quel momento se avesse dato retta al Grillo e alla Fata Turchina. Beh... sicuro che sarebbe diventato un bambino vero molto prima del tempo, ma è anche vero che non avrebbe mai incontrato quei due soggetti del Gatto e della Volpe e cos'è l'adolescenza se non conosci uno come Lucignolo capace di portarti nel Paese dei Balocchi? Può anche darsi che Pinocchio in versione ubbidiente avrebbe lo stesso vissuto nuove avventure, magari Geppetto non dovendo più girare il mondo per cercarlo avrebbe avuto il tempo per costruire una burattina di nome Ciliegia o vattelappesca e con lei Pinocchio potrebbe aver pensato di metter su famiglia. Dunque, qui parte una lunga storia, lunga per tutto il tempo di decomposizione di un pezzo di legno di Pino. Ed è un po' come se tutti fossimo il centro di una circonferenza da cui partono infiniti ed infiniti raggi, infinite ed infinite storie, ma il raggio che dobbiamo tracciare con la matita è uno e uno solo e dobbiamo scegliere dove tracciare la linea; ma la storia che dobbiamo percorrere con il tempo è una e una sola e dobbiamo scegliere dove tracciare la linea, quella linea che stringiamo nella mano... che chiamano vita.

03/09/09

Tomba letteraria

di una malinconica Cristina Taliento


(immagine del pellicano che ho ingoiato e della sua faccia soddisfatta di quando dalla mia gola è uscito lui vittorioso ed io, ahimè, a terra stordita)

Considerate che prima di scrivere queste uno, due... otto parole esclusi i tre puntini di sospensione, io avessi scritto un bel pezzo sulla riproduzione dei pellicani e che ne andassi anche piuttosto fiera. Si, insomma, riflessioni niente male, degne di nota eccetera eccetera. Cancellato. Per sbaglio, addio pellicani. Ho fatto una serie di respiri per calmarmi, ma niente; mi sento come se avessi ingoiato uno di questi uccelli con tanto di penne, becco e zampe che ora prendono a graffiarmi l'esofago ora traforano tutto e vanno dai polmoni. Potrei anche mettermi a riscriverlo, ma non lo faccio un po' perchè il secondo schizzo non ti viene mai come il primo e poi perchè... il pellicano che ho ingoiato è arrabbiato, mi sta strangolando da dentro e compagnia bella, bellissima, uno spettacolo. Spacco tutto-spacco tutto-giuro che lo faccio-lo faccio-spacco il computer-si-spacco il computer-si potrebbero arrabbiare-spacco tutto-non fa niente-spacco tutto-maledetto tasto-te e tutta la tastiera-spacco tutto-era bello, scritto benino, perchè?????? perchè!!!!!!!!!

QUI GIACE UN PEZZO SCRITTO DALLA DIRETTRICE DEL BLOG CRISTINA TALIENTO ANTICAMENTE INTITOLATO "SULLA RIPRODUZIONE dei PELLICANI", ACCIDENTALMENTE CANCELLATO PER MANO DELLA SUA CREATRICE. SI RASSICURA CHE UN PELLICANO HA VENDICATO I SUOI FRATELLI.

01/09/09

Polvere

di Cristina Taliento

Tornare a casa dopo essere stata via per un paio di mesi e mezzo è stato come confezionare una valigia di cartone, simile a quelle che usavano gli immigrati degli anni 20, piena di cianfrusaglie e lasciarla nel silenzioso buio di un armadio per un po' di tempo, poi, un giorno, decidersi di riaprirla e ritrovare tutto così come stava. Solo quella giusta polvere in più che ti fa riflettere sul fatto che anche se mancavi le lancette non hanno mai smesso di respirare, che anche se tutto sembra come prima, qualcosa è comunque cambiato e non puoi contestarlo, perchè la polvere, che tu lo voglia o no, si è distesa sulla tua valigia. Qualche pubblicità rassicura che è solo questione di attimi: compra quel prodotto e tutto tornerà davvero come lo avevi lasciato; ma chi è che le ha mai ascoltate le pubblicità, forse gli stessi che danno retta ai maghi, alle superstizioni e a tutti i felici asini volanti che questo mondo si possa inventare. Seriamente, non è il caso di perdersi dietro a queste storie e se la polvere c'è, io dico bene che rimanga lì, almeno fin quando non arriverà il momento di toglierla; quando arriverà prenderò il primo cd di Francesco de Gregori, ci soffierò sopra, lo luciderò meglio con la manica della felpa e la sua musica ripartirà come prima. Per adesso mi piace restare seduta ai piedi di quell'enorme valigia che adesso mi fa sentire tanto piccola, guardare la polvere e pensare a quello che stavo facendo mentre lei era lì a depositarsi sulla mia roba.

23/08/09

Una serie di delusioni abbatterono il cavallo

di Cristina Taliento


Una serie di delusioni fecero sì che nel giorno due agosto dell'anno millenovecentotrentotto, alle ore otto del mattino, il cavallo venisse abbattuto davanti allo sguardo attonito di piazza del Duomo per mano del suo severo fantino. Testimonianze annunciano che lo sparo rieccheggiò per tutto il quartiere e che ridestò dal sonno persino il figlio del marchese, il quale, abituato a campare con i soldi del padre, usava dormine fino a tarda mattinata; questi, dunque, si disse che si fosse affacciato alla finestra e avesse esclamato mezzo assonnato: <<>>. Ma egli stesso vide dall'alto il cavallo disteso, con un cerchio rosso nella pancia; a quella vista serrò le labbra in segno di disgusto e ritornò nel buio della stanza. Tra i mormorii di dissenso della gente radunata attorno alla scena il fantino diede ordini a quattro fattorini di portare il cadavere lontano da quelli sguardi e nel giro di tre quarti d'ora la piazza fu sgombrata.

Il cavallo in questione, noto alla borghesia leccese appassionata d'ippica, non si era azzoppato, nè soffriva di qualche ignota malattia, ma come dichiarò alla stampa il severo fantino mentre fumava il sigaro: "il cavallo aveva smarrito la voglia di vivere". Si dedusse quindi che la povera bestia era già stata abbattuta da una serie di sconfitte avvenute in data precedente al 2 agosto dell'anno millenovecentotrentotto.

Forse il cavallo aspettava solo che qualcuno gli dicesse: "Bravo, non mollare", forse il cavallo dopo una sconfitta non voleva trovarsi sbattuto in una stalla a catalogare i sensi di colpa, forse non ne poteva più di quella vita piena di gente che ti diceva cosa dovevi fare, forse egli sognava la sua famiglia, le corse libere nella campagna. La sua voglia di vivere l'aveva smarrita nelle assillanti aspettative della gente, nella polvere dell'ippodromo, nelle urla minacciose dei fantini. Si era stancato di recitare la parte del vincitore, della pedina puntata tra le scommesse; forse non ce la faceva più ad essere considerato dagli altri cavalli come il più forte, a sentirsi puntato col dito dai mercanti come merce inanimata. Sentiva di meritare di più del gentile ordine "corri, bello", sentiva che quello, che gli stavano imponendo con qualche carezza in più, non era il suo posto e, così, piano piano si spegneva da solo come una candela quando si consuma lo stoppino.E siccome questo mondo funziona che se finisci di dare il massimo te ne puoi anche andare anzi, ti mandano via loro con quattro o più calci nel fondoschiena, si sa già come va a finire. Uno sparo in pancia senza "buongiorno" o "buonasera", uno sparo in pancia e niente più.

16/08/09

Pomeriggio

di Cristina Taliento

Questo pomeriggio non ho nè la voglia nè il coraggio per dormire un po'. Nell'ovatta del mio cervello perplesso e malinconico sgomita un ricordo non troppo lontano di un altro pomeriggio, più o meno come questo, passato a sbrogliare medaglie nell'ufficio della mia allenatrice, con il ventilatore del custode sparato al massimo dietro la nuca. Stessa tristezza, stesso sguardo basso, stesse domande "che hai?", "chi è morto?" e stesse risposte sussurrate a mezza bocca: " sto bene", "fai come se non esistessi". Prima o poi si ripete tutto. Comunque in quel non troppo lontano pomeriggio di luglio, quando quella farabutta pista di atletica stava per prendere fuoco con sopra tutti i suoi fanatici che andavano a correre alle 2, finì che vinsi gli 80m ostacoli. Mi stavo consumando dita e denti per un nodo tra il filo di un argento poco argento e quello di un terzo posto più plastica che bronzo, quando entrò la mia allenatrice e senza troppi giri di parole mi fece: "Taliento, lascia stare quelle medaglie e vai in pista a recuperare gli 80 ostacoli!". Per un breve momento percepii solo il fruscio delle pale del ventilatore così vicine alle mie orecchie, poi iniziai a comprendere che, voglia o no, dovevo saltare, che, voglia o no, dovevo spingere le mie gambe fuori dalla porta ed entrare nel rosso bollente della pista. Adesso non vi sto a raccontare come l'avversaria cadde, come l'avversaria recitò la parte dell'atleta incazzata e delusa, come io le strinsi la mano. No, non è questo il punto. La storia è che dopo mi sentii meglio e che quando tornai nella saletta riuscì a sbrogliare quel dannato filo. La stupida storia è questa e io me la sto raccontando per consolarmi che dopo tutto passa, che... No, non voglio che passi, la tristezza è una prova che c'è stato, se passa quella, passa tutto. Non voglio che passi.

21/06/09

Squali che ballano intorno al fuoco

di Cristina Taliento



Siamo squali che ballano intorno al fuoco di sera

come sagome contorte sulla terra nera;

anime in disordine che sputano ai paragoni

ululiamo masticando le voragini di suoni

ci saziamo della sabbia e non paghiamo il conto

sogno di una notte assassina del confronto;

conosciamo la strada senza troppe indicazioni

tossiamo sulla faccia insanguinata di emozioni

che per lungo tempo ci hanno divorato

rimpianto di un cuore non a fondo lavato.

Lucidiamo solo le nostre scarpe sbrindellate

perchè anche se vecchie sono state camminate

e il vissuto non la gettiamo nella fiamma imbizzarita

nessuna storia si può dire davvero finita.

Questa è la miccia della nostra adrenalina

che vive nelle vene fino al sorgere della mattina.

Scrivo nel coma di questa snaturata poesia

che romba e sussulta sui dossi della via.



07/06/09

Plastica

di Cristina Taliento



Ci insegnano a fare la raccolta differenziata, ci insegnano a separare la carta dal vetro e il vetro dalla plastica; dicono che è importante e noi ci crediamo. Poi apri il portoncino, ti tuffi in strada e ti accorgi che nessuno ha mai insegnato davvero a separare o, forse, qualcuno ci ha provato, ma la gente si è preoccupata di costruire una statua in suo onore per dimenticarlo più velocemente. Plastica su carta, vetro su alluminio, alluminio su plastica. Ed ecco a voi servito il Big Mac versione Mondo Discarica, prego, buon appetito, ma mentre masticate fate attenzione che del piombo non vi faccia saltare un dente o che la plastica vi soffochi. Comunque non credo che questo Big Mac arriverà a stenderci, perchè siamo stati già vaccinati prima. Un vaccino dosato in piccole quantità che non ci permetteva di vedere i primi sintomi salvatori. Che non ci permetteva di vedere maschere di plastica perchè di quale altro materiale volete che sia la maschera di chi dice di lasciare centinaia di immigrati abbandonati alla sorte del mare? Di plastica è la musica commerciale che tutti canticchiano in auto e prima della lezione; di plastica sono le scarpe che secondo molti "fanno la differenza", di plastica sono le Causes che girano su Facebook e che si condividono masticando bubble gum; di plastica sono le unghie della mia professoressa come il naso di chi sta in televisione; sms "ti amo", falsi miti su magliette di cherosene, stili rubati da falsi intellettuali, diete e pregiudizi... bleah, tutta plastica da smaltire non si sa come.

Di plastica i cantanti lanciati da reality show "costruttivi", di plastica le frasi da diario, di plastica questa tastiera o forse no, vale di più. Ma di plastica continuano ad essere le svastiche sui muri, la pubblicità, i campetti da calcio di erbetta sintetica, i falsi "cosa vuoi che sia...", i ripensamenti, le stanze degli specchi che ti fanno vedere dieci mila volte te-te-te e poi non sei nessuno. Di plastica l'alcool, i balli da discoteca, la parola "eccetera" , le certificazioni, le raccomandazioni.

Alla plastica non si può dare fuoco, si sotterra alcune volte e non è detto che rimanga lì dove l'abbiamo nascosta. Io intanto vado in cerca di qualche altro materiale più duraturo. Con il vostro permesso.

03/06/09

"La verità sui muri, la menzogna sui giornali"

di Cristina Taliento




Quattro posti liberi in treno, due verso nord e altri due verso sud, significano esattamente quattro posti liberi in treno, due verso nord e due verso sud, che ti evitano più di quattro sguardi imbarazzanti che si incrociano per sbaglio con chi ti siede di fronte. Quando trovi quattro posti liberi, puoi far ruotare lo sguardo a briglia sciolta perchè non verra mai domato da nessuno, ma quattro posti liberi non sono la regola, l'eccezione; sono come la pioggia in estate: ci può essere, c'è, difficile che ci sia, non c'è. Ecco non c'è. Niente posti, devi chiedere con quella domanda che afferma "sono liberi?" e prima che ti rispondano ti sei già seduta, immobilizzata come quei mimi nelle strade che ti domandi "sono veri? non sono veri?" e quando l'amica ti risponde che sono finti... pah! e ti fanno l'occhiolino mentre li osservi con la bocca inconsapevolmente aperta e piegata da un lato. Comunque, si... come quei mimi immobilizzi lo sguardo fuori dal finestrino e scruti ogni minimo particolare. Poi, il particolare interessante finisci che lo trovi per davvero e, come nel mio caso, ti dimentichi di quello che ti circonda e ti concentri su quell'inatteso particolare. Una scritta sul muro che faceva "la verità sui muri e la menzogna sui giornali". Pah! Mi ha fatto l'occhiolino e io ho alzato il sopracciglio e... mi sono messa a pensare. Ma va?! Si, tipo Phoebe Halliwell, la più piccola delle Streghe, quando ha una delle sue previsioni del futuro. Per farla breve, nella mia piccola testolina ho collegato tante denunce che già da prima avevo esposto contro la cattiva informazione e, come si dice in questi casi, ho sorriso amaramente. Insomma, sui muri, per chi sa vedere non ci sono solo scritte della no-comment-serie "io e te 3 metri sopra al cielo", ma ci sono anche delle verità che ci sono e non si possono negare, ma non sono nemmeno così ovvie. Sui muri c'è l'adrenalina di chi sta rischiando tanto pur di scrivere qualcosa e lo so che si scrivono tante di quelle cazzate da andarsi a stendere direttamente sulla ferrovia più vicina, ma non è solo questo, c'è dell'altro... Scritte di denuncia sociale, scritte mute che gridano sulla faccia di chi le legge, scritte che ti prendono a schiaffi la coscienza e ti senti un verme a sorpassarle come se niente fosse. Scritte. E io non me ne frego niente se imbrattano i muri delle case per scrivere cose che svegliano la gente dal loro bel sonnellino infinito, non sarò io a dispiacermi per lo spray nero che ha sputato il bianco perla della casa dell' arbitro togato che non fa il suo dovere. No, non sarò io. Abbiamo la testa ovattata da quel che si dice nei TG, quello che ci vogliono dire i TG e io non posso che sentirmi onorata che qualcuno mi abbia detto la verità.

30/05/09

Cartolina dall'Adriatico

di Cristina Taliento

Quando arrivarono le libellule, il sole stava per annegare nell'Adriatico sotto lo sguardo indifferente di una decina di bagnanti. Gli ultimi raggi ramati schizzavano il dorso delle piccole onde e le libellule volteggiavano sulla leggera spuma dorata che si andava a formare all'inizio della bassa marea. Non avevano paura di volare rasente il mare; le loro ali sfioravano il blu senza chiedere il permesso, ma si vedeva che tra di loro si aspettavano, non volevano che nessuna rimanesse indietro. Sapevano dove stavano andando perchè seguivano sempre la stessa direzione, anche se questa era controvento. Forse si andavano a perdere nella notte, forse sarebbero tornate indietro dopo aver toccato la boa rossa, forse volevano imparare ad imparare o a sbagliare, sbagliando. Tutte insieme occupavano nell'aria il volume di un maestoso cigno bianco, ma il loro riflesso nei miei occhi mi riempiva di uno stupore simile a quello che il brutto anatroccolo provò alla vista di una intera nuvola di cigni selvatici. In quelle libellule c'era tutto quello che cercavo, che, per tanto tempo, stavo cercando sotto il mare e che allora mi parve di scorgere al di sopra delle onde. Si allontanarono morbide sull'acqua e mi ricordai che non si vede bene che con il cuore, l'essenziale è invisibile a gli occhi . L'essenziale è sempre invisibile agli occhi, gli occhi riflettono l'invisibile. "Così me ne andai che ero un poco più saggia con tre soldi di dubbio e tre di coraggio".

29/05/09

Credo

di Cristina Taliento

Credo nel credere a qualcosa, credo in chi mi aiuta a credere a qualcosa... credo che il voler fuggire da un paese di appena 15.ooo abitanti significa voler fuggire da te stesso, e da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddy Meckx. Credo in Dio, perchè se non credessi in Lui probabilmente non crederei neanche al fatto che io possa respirare. Credo nell'amore, nella vita, più di ogni altra cosa... Credo in un sorriso, in un abbraccio, quando le mie amiche per scherzare mi chiamano con parolacce e io mi giro. Credo nello studio, nella cultura che mi ha permesso tante cose e che mi aiuterà a realizzarne tante altre. Credo in quell'attimo di silenzio prima di parlare. Credo nella determinazione, in ogni singola goccia di sudore, in ogni lacrima, in ogni battito. Credo in quella sala prove e anche in quella maledetta pista di atletica che a volte odio e a volte no. Credo che vivere la vita sia come andare in bicicletta, anzi come io vado in bicicletta: ritmo costante, guardare la strada, ma distrarsi, qualche volta, a guardare un mare di grano. Credo in "batti cinque", nel dare vinta una partita a scacchi e giurare che si è stati onesti. Credo nei temporali, quando il cielo "spacca" e nelle nuvole quando si trasformano in pensieri.
Credo che i fatti degli altri rimarranno sempre i fatti degli altri perchè io non sono nessuno per giudicarli. Credo nel desiderio che si esprime al passaggio di una stella cadente perchè credo in chi sogna, spera. Credo nei cantautori e uno, in particolare, che mi ha insegnato a dare un peso alle parole. Credo nella mia famiglia e credo che lo farò per sempre, anche se "per sempre" è una parola grossa, una specie di ghigliottina... Credo nel futuro, nel presente e nel passato quanto basta, perchè credo anche che sia essenziale non guardarsi mai indietro. Credo in chi disse che commettere degli errori non ci assicura a non farli più, ma ci insegna a rifarli con crescente eleganza. Credo nella vita frenetica e nel divano, in un buon libro e in una pizza con gli amici. Credo nella fatica e negli obbiettivi che uno si prefigge. E... credo in uno, nessuno e centomila, io.... Si, si, proprio così... credo in tante cose in alcuni giorni e in altri non credo a niente. Ma in quasi tutti i giorni mi resta quel, non so come chiamarlo... istinto? Si, può andare, mi resta quell'istinto di sopravvivenza che mi grida un bel scandito: " cre-di-ci"

24/05/09

Disordine Notturno

di Cristina Taliento


"Non dire che mi stai ascoltando se non mi stai ascoltando"; "No, parla... anche se chiudo gli occhi ti sento"; "Allora... ho perso il filo del discorso... che stavo dicendo? Ah si! Poi, alla fine, sono andati e... ohi! Ti sei addormentata? Pronto? si...ciao"


Dietro al bancone dell'Osteria la Volpe aveva girato la sedia e si era seduta con le gambe aperte appoggiando il gomito destro sullo schienale mentre l'altro faceva su e giù insieme al bicchiere di vodka che stringeva nella sua lurida zampa.
"Mi scussi sign..o...rinna- disse ubriaco- pottreei ave...?re un altro bicch..ie?re?".
Monna Lisa era stata assunta dal proprietario perchè vantava di avere una certa fama che avrebbe di sicuro attirato numerosi clienti, ma quando si trovava a dover discutere con tali ubriaconi squattrinati si adirava dentro e sfoderava uno sguardo truce, ma mascherato fedelmente da un velo d'indifferenza. In silenzio versò la vodka nel bicchiere della Volpe e ritornò a pulire i bicchieri con la manica del suo vestito.
"G-graz-zie Ggioconda, metta p-p-ure sul conto di messer Pinocchio" balbettò la Volpe con un ghigno in faccia, forse concepito come un sorriso.
Ad un tratto le porte dell'Osteria si spalancarono e un uomo avvolto in una toga bianca parlava ad alta voce e gesticolando.
"Eccone un altro- squittì stizzita Olivia mentre apriva una scatola di spinaci per Braccio di Ferro- questi oratori greci che credono di saperne più degli altri. Scocciatori, ecco cosa sono".
L'uomo continuava a dire:
" Hic, hic sunt in nostro numero, huis urbis..."
"Ma che sta dicendo, ehi! Voglio sapere che sta dicendo! Tu!- esclamò l'Urlo di Munch indicando un giovinetto dai capelli blu e la pelle gialla chiamato Milhouse- Tu! Traduci!"
Milhouse aprì lo zaino, tirò fuori il Vocabolario della Lingua Latina e sfogliando repentinamente, lentamente diceva:
"Qui, sono qui, tra la folla delle nostre... città"
"patres conscripti, qui de nostru interitu..." gridava Cicerone.
"i senatori, coloro che...alla nostra, no... per la nostra... distruzione..."
"qui de huis orbis atque adeo de orbis terrarum exito cogitant."
"che progettano... per la nostra distruzione, coloro che progettano... per la fine di questa città e soprattutto- qui Milhouse s'interruppe vedendo che l'oratore si era bloccato per creare suspense- per la fine del mondo intero".
L'Urlo di Munch si atteggiò la faccia alla sua posa preferita; la Volpe scoppiò in una risata convulsa, alternata con una tosse da cane ubriaco; Olivia prese Pisellino e uscì dall'Osteria annoiata; Monna Lisa sbadigliò enigmaticamente.
Ma una donna, profondamente scossa da quelle parole, aveva il viso rigato da lacrime e lo sguardo perso nel vuoto. Il capitano Achab, che fino ad allora era rimasto in disparte evitando di incontrare gente che gli avesse chiesto a che punto fosse con la ricerca di Moby Dick, andò dalla donna, le prese la mano e mormorò:
"Mia cara, dolce, fedele Penelope... tu non sai quanto io sia rimasto addolorato nel vedere le tue leggiadre lacrime sgoragare dai tuoi immensi e sconfinati occhi. Perchè piangete, milady? Concedetemi, piuttosto, questo ballo".
L'Osteria si tramutò in una discoteca che brulicava di Oche, Maiali, Papere ed Elefanti. Penelope ed Achab iniziarono e ballare, ma le Oche e i Maiali pestavano i piedi alla signora e non chiedevano scusa anzi starnazzavano: " Ma chi è questa? Come si permette a non essere oca come noi?"
La discoteca sparì, Penelope e Achab sparirono, rimasero le Oche e i Maiali che continuavano a ballare Gioca Juer fino a quando il dj gridò "Superman" e tutte le oche caddero esauste sul pavimento con il becco rivolto al soffitto.


Sbatto gli occhi ripetutamente, ore 3. 46 "però... tutte quelle persone mi sembrava di averle già viste".

12/05/09

Radici per colazione

di Cristina Taliento



Non ho nessun certificato nella tasca del giubbotto, ma credo di essere uscita da quella fase complicata dell'American Dream e anche se non posso dirlo con certezza, perchè sono la regina della volubilità, ho scoperto di aver "messo le radici" sulla mia terra. Anzi, sono stati gli ulivi della mia regione ad attorcigliare le loro radici nodose intorno ai miei piedi e ad impedirmi di scappare, anche solo con la fantasia. Un po' come un'illustrazione del Piccolo Principe, quando Antoine de Saint- Exupery disegna il pianeta B-612 completamente ricoperto dalle radici di 3 enormi baobab. Ecco, io sono il pianeta.

Prima di Natale andavo avidamente in cerca degli Accordi Internazionali tra Italia e Canada per procurarmi in fretta e furia i documenti che servivano per l'espatrio. Naturalmente avrei dovuto comunque aspettare altri 3 anni prima del diploma, ma l'immagine di me che vagava sperduta nei boschi canadesi, con il cappello da esploratore e la bussola smagnetizzata fra le dita, era più vivida che mai.
Non so se saranno stati i consecutivi viaggi, che mi hanno fatto scorrere l'Italia sotto il finestrino, a farmi cambiare idea. Forse è tutta colpa delle idee nazionalistiche che mi hanno corteggiato la ragione o di quella specie di gioia che saliva quando la collina diventava pianura e quando dall'autostrada in discesa si iniziavano a vedere i primi cartelli blu che sembrava dicessero "ti sei decisa a tornare, idiota". Si, probabilmente, tutte queste cose insieme.
Qualcuno ha detto che dopo Natale il mio cervello è cresciuto di qualche taglia e, cavolo grazie, deve essere per questo se ho messo a fuoco un po' di cose.
Ho capito che non ci sono posti più belli di altri, ci sono solo posti che rubano un pezzo di te; ho capito che chi dice di odiare la propria terra mente, non è quella ad essere sbagliata; ho sperimentato che camminare a piedi nudi sulla riva del mare, con i jeans rigirati sulle ginocchia, respirando con lo stesso ritmo dell'onda del mare che va avanti e si ritira, è una sensazione indelebile che non la cancelli neanche con un centinaio di salti nel vuoto. Ho imparato che i fiori di campo crescono anche nella cenere, che i gabbiani mangiano decine di pesci al giorno, che posso andare ovunque, girare il mondo spudoratamente, salire su tutte le metropolitane delle grandi città, scalare monti innevati, andare per mari a caccia di balene bianche, attraversare il Polo Nord... posso fare tutte queste cose, ma avrò sempre una zolla di terra, della mia terra, nella tasca del giubbotto.

08/05/09

Luci di periferia

di Cristina Taliento




Avevi capito che quella serie di "Che ne so?" non ti avrebbe fatto scagionare, così chiedesti una sigaretta e confessasti in fretta. Ti assunsero in carcere senza farti troppi complimenti, ma non smettevi di mostrare il tuo sorriso da cane: sapevi che era roba di un paio di mesi o poco più. Eri nato randagio, al limite della periferia, rubavi come le gazze e ti guardavi alle spalle con lo specchietto di quella tua bella; ci sapevi fare con i lucchetti e quando veniva la sera ti sedevi sui gradini, chiudevi gli occhi e soffiavi nell'armonica un motivetto che richiamava "Blowing in the wind".

Poi, quando il tuo piede si stancava di battere il tempo, ti avvicinavi alla strada e da lontano vedevi sfrecciare le prime auto sulle luci dei palazzi in costruzione e i tuoi occhi estasiati rimanevano fissi su quelle vita che non assomigliavano alla tua.

E adesso forse ti sarai fatto sposare da un pugno di banconote o da un cuore che già ha amato e che con te cerca solo un po' di calore; adesso il tuo sorriso è migliorato, ma quando sorridi i tuoi occhi sono spenti e sulla guancia si forma una ruga: segno che gli anni passano e che i tuoi sono solo falsi sorrisi di cortesia da porgere su piatti d'avorio ai signori che chiami amici.

Adesso ti vergogni a pensare al passato e chissà se avrai dimenticato le richieste d'aiuto che facevi ai più vicini quando c'erano troppe taglie sulla tua testa.

Ma sempre meglio di adesso che vai girando come un principe in carrozza, non sei nessuno e fai il di tutto pur di sembrare qualcosa. Adesso vai a cena con il figlio del commissario, lo stesso che guardavi dalle sbarre, firmi contratti con la tua penna d'oro e sei il maestro dell'ipocrisia. Pedalavi come un diavolo e adesso guardi con ribrezzo i sedili dei tram. Però, prima di andare a letto, quando dall'alto della tua finestra guardi il traffico salire sulla strada, ti saetta l'immagine di un ragazzino un po' lupo e un po' agnello e triste chiudi le tende, pensando che non era quello il sogno che timidamente ti narravi.

01/05/09

Racconto

di Cristina Taliento




Lo schermo del televisore è invaso da ignote celebrità che cantano nel nome del lavoro. Qualcuno si prenota il primo articolo della Costituzione per urlarlo e applauderlo, acutizzando ancor di più la voce sulle parole "democratica" e "lavoro". Io sento, non ascolto. In realtà sto ascoltando il rumore della mia fantasia che graffia sulla realtà. Poi sorrido, mi giro di scatto e mi rivolgo a mio fratello: "Ma te lo immagini l'uomo ragno, seduto con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso sul pavimento, con il costume e la maschera ancora addosso dalla sera prima, mentre aspetta il suo turno all'ufficio di collacamento?"
Mio fratello sgrana gli occhi e fa: "Che cos'è l'ufficio di collocamento?" Poi, nell'istante in cui apro la bocca per rispodergli, mi stoppa e dubbioso aggiunge: "E che cosa deve fare l'uomo ragno all'ufficio di collocamento?"

Aspettate un attimo, non crediate che Peter Parker si sia alzato una mattina e abbia pensato di lavorare, nè che, mentre cambiava le cartucce di ragnatele, si sia deciso di abbandonare la sua caccia al crimine. Non lo avrebbe potuto fare perchè: a) lui un lavoro ce l'aveva già ; b) non avrebbe mai pensato di abbandonarlo.
Le ragioni, che lo avevano fatto saltare da un palazzo all'altro con una fretta repentina tale da impedirgli anche di cambiare gli abiti di supereroe ricercato, erano più semplici di quanto si possa credere. Il nostro amico si era stancato di vendere le proprie foto al signor Jameson e siccome i superpoteri non alleviano, se non peggiorano, i morsi della fame si era risoluto di cercare lavoro, qualcosa di non troppo impegnativo, qualcosa che gli avrebbe permesso di saltare sui binari paralleli di quell'altra vita.


Ed eccolo lì, l'uomo ragno, con il broncio visibile dalla maschera, attento a non incrociare lo sguardo di nessuno, le braccia intrecciate, dicevo, e quattro fogli stroppicciati di curriculum sulle ginocchia. Quando una voce lo chiama per nome gira tempestivamente la testa, troppi nemici l'avevano preso alle spalle, ma questa volta si tratta di una donna dalla postura rassicurante, che non nasconderebbe mai un coltello dietro la schiena, ma negli occhi le sfolgora una luce... il riflesso di una lama affilata da più tempo: l'astuzia.
L'uomo ragno, un po' invecchiato e saggio, le porge la mano blu e, per imbarazzo non per arroganza, non pronuncia il noto nome. La donna prende a far domande, legge il curriculum avidamente, gira le pagine con dita affilate appesantite dall'oro di tre anelli , modella la sua bocca ad una smorfia concepita come un sorriso, guarda gli occhi dell'uomo ragno circondati dal rosso della maschera. Sovrappone i fogli sparsi, li impila in verticale e li ripone in un cassetto.
"Le faremo sapere, signor... si, le faremo sapere." Mostra i denti bianchi macchiati dal rossetto rosso sangue, non si alza dalla sua sedia.
L'uomo ragno borbotta qualcosa, esce dalla stanza a testa bassa e rimpiange che il suo costume non abbia tasche perchè ora non sa dove mettere le mani e quando passa dalla sala d'attesa tutti lo guardano in quella sua versione imbarazzata, con le braccia ciondoloni. Una volta fuori, libera dal suo polso una corda di ragnatele e la sua figura vola nera davanti all'arancia infuocata del tramonto.

24/04/09

Oggi non ho "colto l'attimo" e adesso vorrei strappare e fare a brandelli tutte quelle pagine di diario dove un po' per gioco e un po' per noia scrivevo mille e uno Carpe Diem. A quanto pare avevo quello che Francesco de Gregori in suo testo definì come "l'ultimo prezioso tentativo di stupire" e io l'ho calpestato, ho lasciato che scivolasse in una fessura stretta. Ma la cosa più divertente in tutto questo, lo sapete qual è? Che sono qui a scriverlo, con un mezzo sorriso di rassegnazione e giuro, mi faccio paura perchè sembrerebbe proprio che non me importi niente di quello che ho appena perso, quello che ho perso nello stesso istante in cui potevo averlo e non l'ho voluto. Non so se conoscete la sensazione, quella bella e vomitevole sensazione, che si prova quando con le braccia spiegate si gira veloce, più veloce ancora, e si vede la stanza che ruota, le pareti che si confondono con il pavimento, i colori che si amalgamano e tu pensi solo a girare e lotti contro l'istinto di gettarti fuori da quella giostra con il solo peso del tuo corpo e continui a girare, girare, girare. E io sto girando, non so da quanti mesi ormai o giorni o minuti o secondi. La voglia di implorare l'aiuto del pavimento per aggrapparti ad esso è forte; attrae la sua stabilità, la sua fermezza, ma volete davvero mettere un freddo e monotono pavimento contro il sapore dell'aria che ti sfiora quando vorticosamente giri su di essa?
Passerò i giorni a vedere gli altri scarabbocchiare con destrezza la firma sul contratto del loro Carpe Diem più conveniente, io rimarrò oltre il vetro appannato, ma non mi preoccuperò di pulirlo con la manica della felpa perchè anche per allora starò girando con le braccia all'infuori e gli occhi sfacciatamente chiusi.

27/03/09

Anelli di fumo

Ci sono delle volte in cui lo sguardo si focalizza su un punto e non lo molli mai, perchè quel punto è l'àncora dei tuoi pensieri, del turbine che gira gira gira e non si ferma. Leggi una frase scritta migliaia di lune prima della tua e ti rendi conto che lì c'è tutto quello che stai cercando... e poi ti viene da guardare il cielo e gridare in piazza "Grazie Dio" e lo faresti davvero, anche se fino ad ora avevi paura a guardare la gente negli occhi. Davanti a te tutto si muove, le macchine sfrecciano sulla strada e spezzano l'andare frenetico delle persone che, con in mano le loro ventiquattrore, corrono verso il loro destino. Ma tu sei lì che vedi e non vedi, perchè la percezione dello spazio non è più quella di prima, senti il cuore che continua a battere mentre tu non fingi di esserci.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
" L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il Piccolo Principe, per ricordarselo.
" E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il Piccolo Principe per ricordarselo.
" Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare.Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
" Io sono responsabile della mia rosa…." Ripetè il Piccolo Principe per ricordarselo.

19/03/09

Fiabe



Un' improvvisa nostalgia dell'infanzia mi coglie proprio mentre mi infilo il pigiama. Sono le 10 e mezzo di sera e ho un sonno pazzesco, ma la nostalgia, dopo aver combattuto con la stanchezza, vince e ora mi trascina verso la libreria di mio padre neanche mi avesse preso per mano. Cerco con lo sguardo il libro con la copertina giallo canarino... non lo vedo. I piedi nudi iniziano a contorcersi per il freddo del pavimento; poi, tra La Lettera Scarlatta e Moby Dick, miro il bersaglio e mi sussurro: "trovato". Lo prendo e mi fiondo sotto le coperte, me lo giro tra le mani come un tesoro che a lungo è rimasto chiuso in qualche cassaforte e ora lo posso ammirare dopo secoli. La copertina scricchiola e metri di scotch avvolgono le pagine mezze strappate, leggo il titolo: Le fiabe dei fratelli Grimm. "Caspita, non pensavo che fosse così malridotto, da bambine eravamo due furie". Così mi metto a leggere una fiaba... poi un'altra ancora. La sveglia segna le 11:00 e il sonno aspetta dietro il ring per dare il cambio alla veglia, ma dovrà attendere ancora un po'. L'ultima fiaba come le precedeni finisce con quel soddisfacente "... e vissero felici e contenti", rimango a guardarla e la rileggo senza concentrazione. Il mio sguardo sale e sale, esce dalla pagina e si ferma nel vuoto. Penso. La mia testa è ovattata. Perchè le fiabe finiscono con "tutti felici e contenti" se sono lo specchio della società? Perchè tutto deve finire bene se, il più delle volte, questo è solo un'eccezione? Rimango a pensare alla mia storia, poi spengo la luce, mi rannicchio sul fianco destro e mi sforzo di liberare la mente.

Vento del Nord

L'unico rumore che si sente in strada è il fruscio delle foglie che un po' rotolano in circolo, poi si stancano di quella danza e prendono a volare verso le nuvole. Il vento decide il tempo su cui devono muoversi, lo stesso vento che scompiglia i capelli delle persone facendo apparire tutti con quell'aria così vivace, come se nei capellli non ci passasse solo del vento, ma qualcosa di più forte. Quello è il Vento del Nord, il gelido Vento che spira dai mari di ghiaccio, che attraversa l'Europa fino a schiaffeggiare le coste del Sud. Io starei ore a farmi screpolare la pelle da quel vento di porti lontani, ma le rondini sono in agguato e la loro bella primavera è pronta a cambiare il turno di guardia con l'inverno. I giorni passano in fretta anche quando vorrei che andassero ancora più veloce... il tempo corre e io corro con lui, non contro di lui. Lascio che a guidarmi sia lo stesso ritmo che spinge gli uccelli a migrare, le stagioni ad alternarsi e le foglie a cadere. Per molti versi è meglio andare avanti così; tuffarsi nella quotidianità e lasciare che una parte di noi, quella che custodisce pensieri e sogni, resti abbandonata sul sedile della giostra del tempo in una giornata di vento che spira da nord.