20/08/10

II. Note di filo spinato e spine di rose appassite

di Cristina Taliento

“E dimmi, Brasco- mi ha detto il Dottore dagli occhi viola- come ti senti ad essere diverso?”
Ho sbadigliato e poi ho schioccato la lingua. Ho deglutito e mi sono toccato la punta del naso con l’indice.
“Diverso da cosa?” ho detto. Occhi Viola mi ha guardato per un attimo e poi ha abbassato lo sguardo sulla sua cartelletta.
Il fatto è che mi viene da ridere tutte le volte che qualcuno se ne esce con questa storia del diverso.
Non lo so, chi ha mai sentito di uno che non è diverso?
“ Dagli altri, per esempio. Diverso dagli altri” mi ha risposto Occhi Viola sbattendo le palpebre con le mani intrecciate sulla pancia.
“Non lo so, chi ha mai sentito di uno che non è diverso?”
Ho chiesto una sigaretta ed Occhi Viola me l’ha data come chi vuole qualcosa in cambio.
“Grazie, dottorino” ho detto mentre armeggiava con l’accendino a pochi centimetri dal mio naso.
Mi sono messo a spingere la sedia a rotelle per la stanza con la sigaretta tra i denti e guardavo i ritratti sulle pareti. Occhi Viola si è messo a scrivere rassegnato sul suo computer e mentre ricordavo sentivo il rumore dei tasti che facevano tac tic tac tac tic tac tatatatatac.

Quelle pareti, tutti quegli studi medici, quei ritratti, quei volti da gran signori, io li continuavo a vedere da parecchi anni ormai. La prima volta mi erano sembrati giganteschi. Come delle specie di mostri alati della coscienza che ti guardano dentro e ti ammazzano all’istante. Avevo paura di quei ritratti. Avevo paura delle aspirine e di tutte quegli aghi che mi infilzavano nelle vene quando non stavo calmo e davo scossoni a chi mi immobilizzava. Una volta, a sette anni, mi sono detto, mi ci abituerò. Non l’ho fatto.

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