10/07/11

Il ragazzo dietro la panchina

di Cristina Taliento


(Head of a Boy, Lucien Freud, 1956, oil on canvas, Private Collection)


Alle volte diveniva di colpo serio e guardava il mare come per contenerlo nel suo secchiello e poi berlo tutto d'un fiato. Invidiava quei gabbiani che addomesticava sulle sue spalle e si muoveva con la stessa grazia delle mani di una pianista. Aveva grandi occhi gentili dietro cui si nascondevano desideri peccaminosi di conoscere le regole della natura insieme ai significati più indecenti della religione. A tratti iniziava a snocciolare i suoi pensieri sulle fronti di quegli individui che i passanti cercavano di ignorare; interlocutori che non avevano mai letto un libro, gente presa per la maglietta dalla società, ingiuriata, dichiarata moralmente ubriaca, lebbrosa e lui era curioso dell'effetto che potevano suscitare le sue frasi dentro quegli occhi vergini o su quei denti canini che smettevano lentamente di masticare tabacco e ascoltavano zitti. Parlava un italiano fatto di teneri arcaismi, nomi presi dal dialetto, quelle espressioni degli adolescenti squarciagolate sulle rive dei fiumi. Certi pomeriggi si sedeva sui gradini di pietra e scrutava i vecchi ed i loro colli rugosi e, in quel mentre, sentiva delle lacrime che si incagliavano tra le ciglia lunghe e si allontanava con la rabbia di un gatto a cui è stata calpestata la coda. Rimaneva incantato dai suoni impacciati di una chitarra giovane, dal vacillare del vino nella bottiglia di vetro, dalla campanella che il chierichetto suonava al momento della genuflessione; gli piacevano i libri di mitologia greca, gli scarabocchi dei bambini, i quadri di arte barocca, le filastrocche popolari, gli indovinelli, i romanzi dell'Ottocento, le canzoncine degli intermezzi pubblicitari, palpiti di diversa andatura. Immergeva i capelli corti nelle nebbie di sguardi discreti, riflessioni, spietati dubbi e prima di dichiararsi morto, prima che l'ultimo alito d'ossigeno si fosse spento, si ridestava e annotava quello che aveva visto o, persino, toccato. Studiava con la voracità di un'aquila madre che ha da sfamare il nido e ostentava la più vivace ignoranza alzando le spalle indifferente. Ogni azione quotidiana veniva volta da lui come un' ultima mossa estrema, ma questo era un segreto: ripudiava quegli eroi del cinema o dei best-seller, cosiddetti ridestatori di coscienze, che brulicavano sulle magliette e nelle citazioni dei profili Facebook; li riteneva uomini rimasti intrappolati dal masso della vita che tentavano la via della salvezza convincendo gli altri a fare di meglio. Noi siamo eroi che facciamo riflettere sul valore del singolo minuto, noi spingiamo gli uomini a cogliere l'attimo. No, pensava, voi siete predicatori imbroglioni, schifosi assassini da usare come cavie per gli esperimenti dei vaccini. Castigava così la sua stessa indole. Si addormentava sfuggendo il pensiero e, non potendolo evitare del tutto, apriva gli occhi nella penombra e distorceva gli oggetti con l'immaginazione: prima un drago, poi un mazzo di margherite sul comò diventava un volto diabolico. E rideva, rideva quando non piangeva l'ira. Rideva per la più volgare comicità, nel vedere un gatto morto, tutte le volte che si contraddiceva e non la smetteva fino a quando il ricordo di un futuro attraversava il suo presente. Quelli che lo circondavano credevano che fosse pazzo e lui, ridendo, diceva: "No no, io sono normale, sono come tutti voi".

2 commenti:

Baol ha detto...

Un tipo tranquillo in fondo

:)

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

ahahahha grazie per essere passata!