28/10/12

About Jane


di Cristina Taliento


(Portrait of Florence Coleridge, Sir John Everett Millais, oil on canvas, 1877, Aberdeen Art Gallery & Museums, UK)


"Sei gelosa di Jane? Jane Gallagher?"
"Io sto dicendo soltanto che se tu credevi di conoscere una certa Jane e quella ragazza poi si fa, come dici tu, stantuffare dal vecchio Stradlater o, comunque sia, ci esce insieme il sabato sera, forse e dico forse, ti sei sbagliato sul suo conto o magari ti sei fatto un'idea di lei che non corrisponde alla realtà"
Caulfield si accese una sigaretta. I personaggi di Salinger fumavano un sacco. Quando erano annoiati fumavano e anche quando erano arrabbiati o tristi.
"Che cosa ne sai tu della vecchia Jane, poi- sospirò facendo uscire il fumo dal naso- Aspetta, che ore sono? Sono tornato indietro nel tempo di un'ora!". Guardò prima il suo orologio da polso e poi un orologio digitale in una vetrina. 
"O per meglio dire le convenzioni sociali ed economiche ti hanno costretto a ritornare indietro nel tempo di un'ora. Senti, non ne so niente, è vero, ma ho letto molte volte il tuo libro e a me è sembrato..."
"Sbagliato. Non iniziare la frase con a me è sembrato. Specie se parli di un libro. Lo odio, piantala".
"Comunque, il punto è che nemmeno tu la conoscevi, giovanissimo Holden. Come al solito ti sei perso nell'osservare i particolari, le dannate dame dell'ultima fila e non ti sei preoccupato di capire le cose più grandi, quelle evidenti. E lo sai perché? Per paura, io credo.""
"Quanta solerzia! Che parola sciocca... ad ogni modo, quale paura?"  chiese mentre il semaforo diventava verde.
"Paura di arrivare alla vera umanità. Non sono i dettagli il motore delle nostre azioni. Tu credi che conoscendo le virgole si arrivi al senso della frase, ma non è così! Prendiamo la vecchia Sally, ad esempio. Lei non ti faceva impazzire, te lo dico io per quale motivo: perché la sua personalità te la sbatteva in faccia e tu non la volevi tutta quella chiarezza. Altrimenti dove la mettevi la tua immaginazione?"
"Dio, questa analisi è davvero la peggiore di tutte! Dobbiamo brindare. Vieni, andiamoci a bere un wisky o qualcosa, non so, ma ti prego, andiamo..."
Mentre camminavamo veloci sui marciapiedi stretti e bui, io cercavo di farlo riflettere sul conto di Sally Hayes.
"Holden, ascoltami un attimo. Lei non ti piaceva molto perché quando eri in sua compagnia non occorreva che ti andassi a cercare il particolare per capirci qualcosa della sua identità. Mentre con Jane potevi giocare a fare il piccolo detective tra tutti quei segreti e quelle sue lacrime cui non riuscivi a dare un senso. Ti divertivi di più e nell'osservarla ritrovavi te stesso".
"Two Cokes, please"
"Io no, ti ringrazio".
"Soltanto uno, allora. Senta, non è che ci può schizzare dentro un po' di rum o qualcosa del genere?- e guardando me- Dicevi?"
"... allora, secondo me, il tuo ricordo di Jane Gallagher non è che un sogno ragionato. Ma tu non mi stai ascoltando. Va bene, okay, va bene!"
"No, in effetti, no. Però mi ha lasciato secco questo tuo voler difendere la vecchia Sally, come se mi stessi spingendo a sposarla o qualcosa del genere. E poi quel modo di parlare da avvocato, a furia di sentirlo anche in famiglia, ti è entrato nelle orecchie e mi dispiace davvero per te, ragazza".
"Non è un volerla difendere, come ti salta in mente".
"E' buffo. Tu sei dalla sua parte solo perchè non mi piace. Se mi piacesse, la detesteresti come fai ora con la vecchia Jane. Ad ogni modo, smettila di tirarla in ballo. Tu non la conosci".
"Senti, Holden. Io non so che fine farai dopo il romanzo, ma secondo me nulla di buono. Secondo me, troverai una bella oca con cui andare a ballare ogni santa volta e diventerai più aristocratico dei tuoi genitori. Sei un grande ipocrita, Holden e scusami, ma te lo dovevo dire!".
"Ci manca soltanto che adesso ti metti a chiedere la trasposizione cinematografica di The Catcher in the Rye".
"Si, giusto. Che cosa aspettano a farla? Scherzo, dai. La tua condanna è quella di essere carta. Molte copie stampate, è vero, tantissime, ma carta appunto. Only a frozen moment in time".
"Yes, I am. Tutto questo casino per dirmi che mi ami e che sei gelosa".
"Ma che ti inventi... Io non ti amo affatto".
"Su, riconoscilo! Stai violando un sacco di copyrights per amore. Stai offendendo J.D. Salinger per amore".
"Ho fatto molto di più anche per gioco, Caulfield". Ma lui iniziò a canticchiare una vecchia canzone dei Carpenters: "Don't you remember I told you I love you baaaby? You said you'd be coming back this way again baaaby.  Baaaaby, baaaaby, baaaby baby oooh baby! I love youuu, I really doooo".
"Ssssh! Questa canzone non è dei tuoi tempi"
"Oh nemmeno dei tuoi, se è per questo".
Gli allontanai il bicchiere da sotto il naso. "Smettila di bere, devi sempre trasformare queste conversazioni in grotteschi balli di corte dove ci si ubriaca fino alla morte! Potresti almeno darti un contegno, eccheddiavolo..."
"Non sono mica in compagnia di Jane Gallagher"
"Già. Perchè lei è in una macchina con il vecchio Stradlater, ora. E ricordati sempre una frase di Russell: di due attività che gli siano state insegnate, l'uomo generalmente preferisce la più difficile. Nessun giocatore di scacchi gioca a dama. Si vede che la povera Jane non ha mai fatto scacco matto".
"Perchè la povera Jane non ne aveva bisogno".
Non aspettai che finisse il suo bicchiere. Gli diedi una pacca sulla spalla e uscii nella notte della sua New York proprio come avrebbe fatto uno di quei divi del cinema che lui odiava tanto. 



23/10/12

Descrizioni del suono per non udenti


TERZO: IL TEMPORALE

di Cristina Taliento

      (Kenneth Noland, acrylic on canvas)


Diciannove schiaffi piatti al muro, tap tap tap... tap, al ventesimo ti giri e cadi a terra. Morto. No, ti alzi. Sette    passi, quaranta giri, apri le braccia, di più. Respira forte. Tosse nelle mani e nausea dappertutto, una fitta, è la milza, respira, di fermarti  non ti fermi. Adesso esci, scendi le scale correndo, perché vivi? Che vuoi? Prendi la strada, a sinistra. Più veloce. Inspira con il naso, butta via con la bocca. Non muori, corri. Fari d'auto negli occhi, moscerini sulla lingua, il buio dei vicoli entra nei capelli e nelle rughe. Il tuo passo, la pioggia. La gola ti sta bruciando, lo so, l'aria fredda. Il semaforo è rosso. Reggiti al palo, prendi fiato, uno, due, tre, uno, due, tre, uno, due. Macchine nere, alcune sono grigie, ma le vedi rosse e poi bianche. Tre, respira. Verde, vai adesso. Corri tra la gente, urta le spalle degli altri, non ti girare, non chiedere scusa, veloce. Attraversa i binari, sbrigati.  Che vuoi, ah? Dove stai andando? Non ti sto guidando io, che ne so dove stai andando. Questa strada qui, questa a destra, prendila. Non c'è nessuno. Tosse. Il sudore si gela, le lacrime si gelano, le mani, i polsi, la fronte a zero. Non ti fermare, attento al gradino. Un crampo ti afferra il muscolo, veloce come l'attacco di un ragno o di uno squalo. Cadi. Stendi la gamba, prendi il piede, tira. Respira, non è niente, respira. Stai piangendo? Hai paura? Tira, ma che piangi e piangi... Il cuore si sta aprendo: è un'impressione. Mettiti seduto, stendi la gamba. Piano, ora. Bevi. La pioggia. I denti bianchi risplendono nel buio di una strada a mezzanotte, mordono il labbro inferiore che trema. Con chi te la vuoi prendere? Con me? E chi sono io... una voce. Solo una voce che scivola e che tu puoi sentire, che non ha rumore, che se ne va... Urli e c'è il tuono. Ti addormenti e il tuono scompare, se mai c'era stato. Gli ultimi lampi annegano nell'alba. Sei salvo. 

16/10/12

Domande su aereoplanini di carta

di Cristina Taliento

      (The writers house, Alexander Jansson)


1) Avete mai pensato alle strisce pedonali in termini di pezzi di ghiaccio su cui saltellare se non si vuole essere inghiottiti dal profondo, oscuro, Asfalto Antartico?

2) Perché i fascisti parlano sempre di Che Guevara e i comunisti di Mussolini?

3) Se l'umanità si mettesse d'accordo di gridare per un intenso, entusiasmante, minuto regolando i vari fusi orari e le personali sveglie, buttando fuori tutta la rabbia con la voce, alla fine, non ci sarebbe sempre qualcuno in camicia azzurrina e bastone di legno pronto ad esclamare "tanto rumore per nulla"?

4) Quando la persona con cui stiamo parlando non ride a una nostra battuta o ci guarda male per una cosa davvero brillante che abbiamo detto, non muore per sempre una piccola parte di noi e se si, quante possibilità ha quella piccola parte di noi di essere defibrillata e ritornare in vita?

5*) Provarci con il ragazzo dell'amica è sintomo di deformazione professionale riconducibile, poi,  a quale professione? (ah... retorica. Domanda mancata*)

6) Siamo davvero, davvero, sicuri che tutte, ma proprio tutte, le strade portino a Roma e che una non sfugga al conto e tiri dritto a Minas Tirith?

7) E se invece?

8) "If a body meet a body/ Coming thro' the rye/  If a body kiss a body/  Need a body cry?" (Robert Burns?)

9) Per quale motivo adesso va di moda prendersela a morte con i modi di dire e i luoghi comuni per poi frequentare, allo stesso tempo, social networks simili a palazzi sovietici con il bagno in comune?

10) La carrozza di Cenerentola sta alla zucca arancione come la Champions League sta a ventidue "deficienti" in mutande?

11) Si ama la bellezza o, più che altro, la rarità?

12) Se ogni persona potesse decidere come morire, non trovate che anche allora l'industria della Coca-Cola ne uscirebbe inesorabilmente vincitrice?

13) Il fatto che negli scacchi inizino sempre prima i bianchi deriva da un vecchio stupido retaggio razzista?

14) Il bambino sul marciapiede che ci guarda male quando usciamo di casa ci odia oppure odia tutti e quindi noi, come è giusto che sia, facciamo parte di tutto, di tutti?

15) Se posso ripetere la domanda? Quale?  

12/10/12

Una bella persona

Storia di una breve amicizia


di Cristina Taliento


      (medium shot by Sofia Coppola)



Una delle più evolute forme di egoismo esistenti al mondo è il volontariato. Specie da quando gli psicologi si sono messi a consigliarlo in alternativa allo yoga. Molte persone sono convinte che si tratti di altruismo e senso civico, ma in certi casi è tutto il contrario, ovvero usare gli altri e i problemi degli altri per far stare meglio se stessi. Per noi era per lo più una questione di appartenenza al gruppo e per uscire insieme il sabato sera anche se, alle volte, ci toccava ricordare di non guidare a ventenni ubriachi appena usciti dal pub che ridevano sulle nostre facce serie o che piangevano davanti i nostri sorrisi imbarazzati. Scene che non avevo mai potuto soffrire. Perciò andavo a svolgere il mio turno di due ore al mese, necessario per mantenere attiva la qualifica, in una di quelle case di riposo addobbate come chiese. Non dovevo fare altro che giocare a scopa con gli altri volontari e qualche vecchietta di passaggio. Anche quella volta avevamo raggiunto la terza partita e sembravamo tutti felici così dissi una cosa stupida, come la maggior parte delle volte, dissi che lì c’era un bel calduccio e che probabilmente era per via dei nostri scambi di energia, semplice meccanica quantistica, niente di più. Nessuno ci badò, ma mentre davano le carte, mentre allungavo la mano per prenderle, notai degli occhi, al di là del tavolo, vicino la finestra; due occhi azzurri, solenni come iceberg, che facevano segno di avvicinarmi. Dissi, un momento e mi alzai. Alcune ossa sopra una sedia  a rotelle e questi grandi occhi appoggiati sugli zigomi di un viso scarno. “Parlami- disse- della funzione di distribuzione di Planck e dei casi limite”. Non capii subito, ma poi pensai che forse era per quella frase che avevo sparato prima e dissi che non lo sapevo, anzi, a dire la verità, non ne avevo la più pallida idea. Intrecciò le dita sottili e sagge sul vestito e, senza gridare, incise parole di ferro in quell’aria stantia che sapeva di farmaci e incenso. Disse: “Soltanto gli sciocchi usano a sproposito concetti di cui non conoscono che il nome, di cui ignorano parte o, come presumo, gran parte dell’esistenza”. Annuii piano mentre un raggio di intelligenza attraversava le rughe della sua fronte ampia e si riversava nelle iridi per qui brillare ed espandersi. Tornai a giocare a scopa ed era il mio turno e per la confusione volevo prendere con il dieci di spade un sei più un cinque. Mi fecero no col dito.  
Quando l’orologio suonò le sette, le vecchiette si alzarono per andare a dire il rosario in una stanza resa ancora più religiosa delle altre con il doppio delle statue e il triplo dei lumini rossi. Gli altri ragazzi del gruppo mi salutarono e se ne andarono perché il nostro turno era finito ed io presi il cappotto e nell’attesa che venisse qualcuno a prendermi mi sedetti su una robustissima sedia di legno con teste di angelo intagliate ai lati. Controllai il cellulare come un movimento meccanico. Poi alzai la testa e di nuovo quegli occhi. Seduta accanto alla finestra, respirava piano e mi studiava. Non mi meravigliai di non sentirmi porre le solite domande del tipo quanti ragazzi avessi tutti insieme. Feci un cenno con il mento per dire ehi, ma mi sembrò da maleducati e quindi aggiunsi:
“Lei non dice il rosario?”.
“Tu dai per scontato che io non sia atea. Vedi, è per questo modo di non porre il dubbio che c’è stato il Medioevo”.
“Lei insegnava, non è così?”
“Ed ecco che continui- disse con voce calma e sostenuta- Formuli affermazioni e dai loro un’intonazione di domanda. Mi chiedo… non otterresti più informazioni introducendo la frase con che cosa o perché?”. Poi sorrise e mi sembrò grande. Fu allora, proprio allora, che nacque l’amicizia.
Mi raccontò che aveva studiato biofisica e per un certo tempo aveva lavorato al King’s College collaborando con la Franklin. Risposi che a questa cosa, con tutto il dovuto rispetto, non ci avrei creduto nemmeno ad avere le prove, ma lei alzò le spalle e sospirò come presa da un ricordo lontano. Divenne per certi aspetti la mia Musa, l’incarnazione della vecchiaia, quello che la vita lascia e che, tuttavia, non riesce a togliere. Anticipai in un mese tutti i turni di volontariato previsti in due anni, anche se in realtà, non mi valevano nulla. Un giorno mi disse che per colpa sua non stavo studiando il pomeriggio ed io risposi che avevo imparato più con lei in un mese che in un anno di scuola e che non si doveva preoccupare perché io ero abbastanza egoista e se continuavo a venire a trovarla era più per il mio interesse che per il suo. Ma siccome lei insisteva, proposi di sfruttare il lato utilitaristico di quelle visite approfondendo la meccanica quantistica. Mi vedevano uscire per andare a trovarla e sentivo che dicevano tra loro: “Finalmente si è innamorata”. “Non ci posso credere”. “Sul serio credici, si è presa una cotta per una vecchietta di cento e passa anni”. E gli anni erano quelli, infatti: 103. Eppure certe volte mi sembrava che ne avessimo entrambe otto; quando per esempio le infermiere si entusiasmavano a spiegare i meccanismi dell’azione di un farmaco ripetendo quello che avevano letto chissà dove, lei, che sapeva tutto come nessuno altro, mi guardava per cercare il mio sguardo complice e ce la ridevamo senza che gli altri se ne accorgessero. La sera in cui fu portata all’ospedale mi chiamarono sul cellulare. Capii che sarebbe morta e per uno strano collegamento associai la fine di quell' amicizia con la fine dell’adolescenza.
Mentre era stesa sul letto ed io seduta a lato, indicò una borsa e mormorò: “Aprila”. “Okay”. “La tasca interna”. “Okay”. Era una foto. La riconobbi al centro, più giovane di mezzo secolo e più. Accanto a lei c’erano un uomo e una donna e li guardai. “Oh mio Dio…” fu quello che riuscii a dire. La sentii ridere piano come chi l’ha appena avuta vinta su qualcosa. E poi questa mia lacrima idiota cadde sulla fotografia, precisamente tra la spalla di Wilkins e quella della Franklin. Mi scusai, dissi che non meritavo di essere lì, ma lei non si arrabbiò e invece disse: “Raccontami perché sei triste”. Lei faceva sempre così: voleva che io usassi tutti i che cosa e i perché di questo mondo, ma mai una volta che fosse lei a porre delle domande. Sapeva sempre tutto. Allora dissi che una donna di scienza, senza offesa,  non poteva saperne proprio un bel niente di quello che era accaduto in un solo minuto nel mio cervello e che probabilmente erano state violate un sacco di leggi fisiche eccetera. Anche questa volta non se la prese perché era troppo saggia e intelligente per offendersi e rispose: “Forse la fisica classica no, non potrà mai farlo, ma mi chiedo… che ne dici di considerare la meccanica quantistica?”

04/10/12

Di alcuni gladiatori nell' East End

di Cristina Taliento

Prima stesura

(TSBC3, Jordan Eagles, 2011, blood, copper preserved on plexiglas, UV resin, Collection of University of Michigan Museum of Art)

5.000 parole sull'uomo moderno, dalla caduta di Hitler al Progetto Genoma. Moderno, dunque: aerei, social networks, stress, telescopio spaziale Hubble, mentine senza zucchero, Obama, polmoni artificiali, tunnel della Manica, AIDS, Coca Cola light, Pistorius, floroclorocarburi, bosone di Higgs, Torri Gemelle, auricolari, lol, :-), : D, XD, -.-, :-p, questione adolescenziale, teoria delle stringhe, questione morale, teoria dei giochi, caramelle scoppiettanti, teoria del complotto, Super Mario, teoria dell'azione ragionata, Harry Potter.   Nelle strade affollate incede-passo largo, postura eretta- l'uomo moderno, gioioso per la confortante illusione di essere non l'ultimo, ma il più lontano dal buio. Tu es, tu sei, homo novus, uomo moderno, eppure così inconsapevole e fragile e smemorato, tanto leggero, ma così pesante nel tuo costante, comodo, caparbio, ignorare. "Cosa?". "Come cosa?". "Ignorare che cosa?". Rise e poi, serio: "La morte". Per questo accorrevano. Parcheggi sotterranei nell'East End di Londra brulicanti di uomini, insetti, armi trafugate negli anni dai Musei Vaticani. Dicevano che il lavoro cieco e smodato aveva allontanato l'uomo dal buio e dalla ragione. Dicevano che c'erano luci al neon dappertutto e la notte quasi aveva finito d'esistere  e che le persone si erano dimenticate di interrogarsi sul senso della vita per potenziare così una super paura, la paura della morte.  Gli uffici erano pieni di insicuri, uomini chini sui loro computer, pugni sotto menti rassegnati, occhi stanchi appesi a bocche morte, oppure si trattava del contrario e allora vi erano canini che mordevano 170 volte al minuto la parte interna della guancia, ginocchia vibranti sotto la scrivania. "Perché lo fai?". "Cosa?". "Far vibrare la gamba". "Ah, non me ne accorgo. Un tic". Eccellenti, straordinari, pregevoli lavoratori che ignoravano quale destino gravasse sui loro colli di camicie, che rifiutavano di ammettere che non è tanto quanto lavori, quanto produci, ad attestare che sei in vita. Magnifici, assidui lavoratori che amavano così tanto il loro lavoro da prendere il venerdì sera e il sabato sera come gli ingloriosi momenti della sbornia in cui tutto veniva dimenticato e perso e confuso ad altri ricordi e... sbiadito... allontanato. Era il modo, si, Seymour, il capo dei gladiatori, diceva sempre che era il modo in cui si aggiustavano gli occhiali sul naso che smascherava le loro paure. Il modo in cui fissavano il muro la sera una volta tornati a casa. Per questo accorrevano e urlavano nei parcheggi dell'East End e si tagliavano il petto a vicenda come i gladiatori di Ottaviano Augusto. "Loro erano schiavi, non avevano scelta". "Noi l'abbiamo?". "Si, voi l'avete". "Non è vero". Un uomo aveva due lingue o una divisa a metà. "Che ti è successo?". "La lingua?". "Si". "Me l'hanno intagliata. Tre anni fa". Avevano paura della morte. Qui non insegniamo a vincere la paura della morte, qui la facciamo ricordare. Perché è giusto che un uomo ricordi dove deve andare, è giusto che se lo ricordi, sempre. "Ma, mio Dio, è violenza questa. Voi ferite la carne". No, è comprendere l'uomo.  Per noi l'insicurezza e le guerre nascono dalla falsa interpretazione che gli uomini danno alla definizione di interiorità. Pensano che sia la psiche, tutto quel girotondo emotivo, i sentimenti. Balle. Interiorità è quello che sta dentro. "Quello cosa?". Ossa e viscere, per Bacco! Gli uomini pensano a loro stessi in termini di capelli e denti bianchi quando dovrebbero vedere con i loro occhi la persistente forza del loro cuore o  l'aspetto dei loro reni. "Che cosa c'è, avanti dimmi, dietro quella tua pelle liscia?" Le mani, le braccia, le vene come ricami blu sulla tela. I gladiatori gridavano. Un rumore assordante rinchiuso tra muri e muri di cemento armato metri sotto terra e sopra le loro teste si sentivano passi di tacchi veloci, tacchi alti e neri, tacchi con la suola rossa, tacchetti artigianali, a spillo, di pelle, aperti davanti, con il laccetto, di alto design, con brillanti applicati, rivestiti di seta, sneakers frettolose con i lacci, senza lacci, colorate, solo bianche, con la gomma bianca sulla punta. Erano i passi di chi andava e andava nelle strade della vita. Era strano e così vero, allo stesso tempo, che negli stessi metri quadrati di spazio, quello stesso spazio venisse diviso in due: sopra chi non ha mai tempo, chi compra il caffè e scappa via, chissà dove, chi guarda nelle vetrine e, per qualche attimo, non riconosce (ricorda) il riflesso di se stesso; sotto, invece, c'è chi, appoggiato al muro fumoso di un sotterraneo, aspetta il suo turno per colpire, lacerare, dilaniare, mordere, tirare via, vedere dentro la macchina di tutto, la chiave della sveglia e spegnerla, sbatterla a terra e sentire che è così, in fondo, è così che si muore e il sangue scivola via e si potrebbe ridere adesso. Ridi, adesso! Si... ridi, adesso...
"Alla gente e anche a me sono odiosi quei gladiatori che combattono per salvare a tutti i costi la loro vita. Infatti facciamo tutti il tifo per quelli che già nel volto portano scritta l'indifferenza per la morte". Seneca. De tranquillitate animi. "Posso?". "Prego". "Se mi lasciate spiegare, io non sarei d'accordo. Voi, gladiatori moderni dell'East End, siete dei viziati! Qual è la vostra rabbia? Voi siete arrabbiati sul serio per l'alienazione dell'uomo contemporaneo, per la frenesia delle metropoli, il vuoto d'emozione, la distorsione dell'identità umana? Mi viene da ridere. La verità è che siete i figli di chi ha vissuto il boom economico, di chi se l'è spassata a Woodstock, ma al contrario dei vostri genitori, voi non sapete un cazzo della guerra, perché se la fate, non la fate a casa vostra, no, ma la cosa più ripugnante è che avete preso a cercare l'adrenalina calpestando il rispetto per chi è stato ucciso e speculando sulla morte".

Ma la mia voce non era che una voce nella bufera e sebbene parlassi così duramente contro di loro, in nome dei miei valori e del mio carattere, comprendevo troppo bene le ragioni che avevano avuto e continuavano ad avere.

                     FINE

01/10/12

Baba O'Riley

di Cristina Taliento

Pensavo che il tempo fosse passato, ma le nostre idee sempre le stesse e poi, invece, davanti al vecchio scaffale della letteratura straniera, mentre leggevamo i titoli con le teste piegate e gli Who in sottofondo, mi hai detto d'un tratto che non ti fidi degli scrittori che non usano la punteggiatura. Grandissima bugiarda. Qualche anno fa ci scambiavamo di nascosto Joyce e Màrquez al catechismo e io nemmeno lo volevo leggere l'Ulisse perché, secondo me, si potevano costruire le case con l'Ulisse, ma tu mi hai costretta e ti ho detto grazie, alla fine. Qualche anno fa non avresti mai pensato di farti bionda in quel modo assurdo. Qualche anno fa.

"Teenage wasteland. It's only teenage wasteland
Teenaaaage waaasteland.
Ooh, yeah"