16/09/13

Ritratto di Augusta Sempiterno nata Ottavi

Come combattere gli attacchi di panico

di Cristina Taliento


Cinquantasei, cinquantasette, cinquantotto, cinquantanove... che qualcuno, qualcosa, mi faccia passare la rabbia e l'ansia, sessanta, mannaggia Giuda, sessantuno, calmati per favore, sessantadue, sessantatrè, sessantaquattro, ma che cazz... sessantacinque, sessantasei, porca miseria, arghhhh, sessantasette. Ritratto di Augusta Sempiterno nata Ottavi. Scrive: Cristina Taliento. Silenzio. Un accidente. Mi ci vuole uno pseudonimo, non ne posso più di mettere la faccia per queste puttanate! Oddio, ti prego, non così. Non lo dire... non lo dire, non lo scrivere. Cazzo! Ecco. I miei complimenti. Sei ufficialmente una ritrattista professionale, ma che cosa c'entrino i genitali con Augusta Sempiterno, non ne hai idea. Niente! Va bene. E' una fottuta esclamazione! Si, va bene, ma non mi sembra giusto aprire un ritratto in questo modo, il ritratto di Augusta Sempiterno, poi. Nata Ottavi, poi. Si chiama violazione di proprietà privata. Tu entri con la tua rabbia nel ritratto scritto di un'altra persona. Tu inganni l'intelligenza altrui. Sono il narratore, faccio quello che mi pare. Me ne fotto! Si, ma non è corretto lo stesso, nè per i lettori, nè per la Sempiterno in questione. Fanculo ai lettori! Quelli non se ne fregano niente dell'Augusta. Vogliono solo divertirsi, come le ragazze. Smettila! Smettila! Smettila! No! Calmati, diavolo, calmati! Senti, io nemmeno lo so chi sia questa Augusta Sempiterno, nata Ottavi e francamente, ora lo ammetterò, non me ne importa nulla di lei o del marito da cui prese il nome perchè è una dannata copertura. Comunque, tutti i personaggi sono coperture, qualcuno di cui parlare, qualcuno da mandare a morte alla fine del capitolo. Non dire parolacce. Se vogliono sentire parolacce, o peggio ancora leggerle, si fanno un giro su uno di quegli autobus dell' Essetipi, non attraversano chilometri e chilometri di web, connessioni e satelliti. E ora, una volta per tutte, parlaci di questa santa donna. Io non ho mai detto che sia una donna. Dunque, è un uomo? No, è una donna. Appunto. Ora l'ho detto. Va bene, continua. Che non mi si dica quello che devo fare, cazzo! Come vuoi, come vuoi. Un giorno. Sentite, gli idioti iniziano con 'un giorno'. Sei un'idiota? Si. Ti vergogni di questo? No. Allora inizia pure così. 
Un giorno Augusta Sempiterno morì. Ma tutti muoiono. Non è questo il punto! Era mai nata? Si, lasciami scrivere. Lei era nata, un giorno. Si... un giorno. Lei era nata Ottavi, suo padre si chiamava così. Ebbene? Ebbene. Ti sei calmata? Ora si. Grazie. Prego. Grazie. Prego. Grazie. Prego. Piantala. Okay. 

10/09/13

La panchina sul molo e altre sedie

di Cristina Taliento


(Blue Jay 2, Serge Zhukov, oil on canvas, at http://sergezhukov.com/ )


Il cuore sta lì. Bello che batte. Il collo, lungo, lungo, lungo, è il molo, con le assi di legno, illuminato dal tramonto. La bocca è la panchina. Gli emisferi cerebrali sono lo Ionio e l'Adriatico che si incontrano, calmi e forti come due soldati che vengono in pace. E questo per millenni. Soltanto nel più recente passato, poi, c'erano due lacrime, una dalla parte dello Ionio, l'altra da quella dell'Adriatico, che scendevano sulle labbra e lì brillavano: Erica e Davide, seduti alla fine del mondo, tra i due mari, sulla panchina dei millenni e degli antichi mari. 
Lui le aveva detto a pomeriggio, diventi più bella ogni giorno che passa, ma la sera stessa era partito per l'università. Normale, era settembre. Vabbè e tu che farai? Le aveva chiesto prima di andarsene. Resto.
Pensava di restare, in fondo, su quella panchina tornando a casa soltanto per dormire e farsi il tè da portare sul molo. Invece, durante l'intera invernata, ci tornò anche per cambiare i libri ogni volta che ne finiva uno, per sorridere a sua madre dopo un esame andato bene, per il bagno e la cucina. Per il resto, nessuno più la vide e d'inverno il molo sembrava un altro posto. Alcune volte pioveva forte, il mare si agitava e lei apriva l'ombrello, incastrando il manico tra le bande metalliche della panchina. La prima pioggia forte della stagione, non la ricordava così forte. Gli uomini sono smemorati anche per questo, scrisse quando tornò il sole, per vedere le stagioni come se fosse la prima volta. L'attesa, insieme alla neve e ai temporali, veniva dimenticata e nel tempo, santificata, fino a quando si accorse che, malgrado i messaggi inviati, i ti prego torna e le fotografie, dopotutto, lei non stava aspettando. Forse, era più probabile che, seduta su quella panchina, di notte, di giorno, con le maniche corte o vestita di lana, lei stesse guardando la vita e le cose senza sentirsi coinvolta. Era, infatti, un posto da spettatore. Chi aveva costruito quelle panchine lo aveva fatto nel 1992 per una gara mondiale di vela. La sua, poi, era stata montata sugli ultimi assi di quel piccolo molo di pescatori che da anni più nessuno usava. Il massimo della contemplazione del mare, pensava. Contemplare. La gente lo faceva mangiando il gelato prima di tuffarsi ad agosto ed era allora che le capitava di trovare altri seduti al suo posto. Passata l'estate, il lungomare si allungava ancora di più nella sua solitudine di lampioni grigi e fogli di giornale visti volare prima da vicino e poi visibili ancora da lontano e più lontano... Certe volte non poteva non dubitare di tutta quella contemplazione. Sua sorella le gridava che doveva alzarsi e darsi da fare, ma a lei pareva che non ci fosse azione più grande del vivere fuori, seduta, eppure all'aperto. Non in piedi, ma nemmeno a casa. Lì, appunto. Stava vivendo nel modo in cui credeva di essere lei. Stava facendo della sua vita, lo specchio della sua personalità. Lei era una panchina sul molo.
E allora, fammi capire, io dove dovrei vivere? Le chiese Davide quando tornò per Natale.  Che ne so io di come sei tu, rispose Erica e aggiunse, davvero. Davvero. La Gente Davvero è diversa, una cosa completamente diversa, lei lo sapeva. Alle volte affibbieresti a qualcuno una vita in poltrona, magari bordo piscina, champagne e bicchieri di cristallo su un tavolino posto di fianco e, invece, è un ramo di albero, scomodo tra foglie e scoiattoli. La Gente Davvero si siede nei posti di cui non avresti sospettato. Un fatto delicato, le sedie degli altri. E lei non voleva immaginarla la vera sedia di Davide. Lui le aveva detto che stava diventando bella giorno dopo giorno e, stando così le cose, a quel punto, doveva essere diventata bellissima, ma lui se n'era andato, aveva incontrato altre persone, altre sedie. La sua era una panchina sul molo e tutt'intorno mare, al diavolo gli altri posti a sedere.
Non puoi stare tutto il tempo seduta qui, è triste, disse cambiando argomento. No, non è vero, mormorò voltandosi dall'altra parte. Si, è triste, di un triste pesante, è come se non ti volessi impegnare in nessuna promessa. Alzò le spalle e se avesse avuto una sigaretta, se la sarebbe rigirata tra le dita; se avesse avuto un orologio, avrebbe sistemato il cinturino. Invece, sospirò e disse soltanto mi piace, è il posto in cui voglio stare veramente. Trovare le cause, sarebbe stato come trovare lei. E lei era lì, identità, anima, cuore, mente, tutte quelle cose erano lì e volevano restare. C'erano dei posti-secondo lei- dei posti che ci raffiguravano e in cui l'essere si riconosceva e si pacificava. Mentre per alcuni poteva essere semplice chiudere gli occhi, immaginarsi seduti in un posto assoluto, per altri questo non bastava. Si poteva vivere tanto tempo, viaggiando da Nord a Sud senza mai trovarla, la sedia. Quelli erano i pendolari, li chiamava così. Animi da metropolitana, giacche e cravatte prive di volontà, fantasmi, nient'altro che fantasmi che si trascinavano con le loro ventiquattrore vendendo promesse vuote, soldi, azioni e mai loro stessi. Non avevano sedie. Rimanevano in piedi, sconfiggendo l'inerzia infilando la mano morta dentro le maniglie sopra i finestrini. E a chiederli di chiudere gli occhi e immaginare il loro posto, non avrebbero visto che fumo e allucinazione.
Questa è una tana vista mare, rise Davide prendendole la mano. Tu non hai idea di cosa sia capace il mare in inverno, a cosa sia esposta io, disse Erica. Questa è una tana vista mare esposta alle intemperie. Lei amava le intemperie. Quand'era piccola e c'erano i tuoni, mentre sua sorella piangeva, apriva la porta che dava sul giardino e restava a sentire la pioggia sulla lingua. Si, forse il suo rifugio era in mezzo alla tempesta.
E il tuo posto qual è? gli chiese per non parlare sempre di sé.
Una gru.
Sei seduto su una gru? Che megalomane del cavolo. 
Sta parlando la panchina sul molo, signori miei. Una gru metallica quando viene sera e allora?
Una gru nel cielo stellato usciva da dieci mesi con una panchina sul molo. Non poteva essere altrimenti.